Il credito professionale vantato verso il cliente inadempiente si prova con .......


Nel giudizio fallimentare, allo scopo di accertare il credito professionale per l’attività di consulenza, il Giudice può ammettere l’interessato a provare, anche con testimoni, l’esistenza del contratto e del suo contenuto. È quanto emerge dalla Sentenza n. 29614/18 della Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione.

Con la pronuncia in esame, la Suprema Corte affronta la questione della prova del contratto professionale e della sua stipulazione in data anteriore alla dichiarazione di fallimento. Ciò, rispetto a un credito per prestazioni professionali stragiudiziali svolte da un avvocato, non ammesso allo stato passivo.

Il Tribunale ha rigettato la domanda del legale osservando, fra l’altro, che il contratto con cui era stato conferito l’incarico non era opponibile alla procedura perché privo di data certa, la quale non poteva essere attribuita né con prova testimoniale né ricavata dall’ulteriore documentazione presente nel fascicolo.

Invece, secondo i Massimi giudici, il ricorrente ha ragione quando sostiene che la certezza della data del conferimento dell'incarico può essere fornita con testimoni, posto che il conferimento del mandato professionale per l'espletamento di attività stragiudiziale e il suo contenuto possono essere dimostrati con tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento, salve le limitazioni derivanti dalla natura e dall'oggetto del negozio stesso, e dunque anche in via testimoniale.

La Suprema Corte, nell’accogliere il ricorso, osserva che, diversamente da quanto ritenuto nel provvedimento impugnato, la certezza della data del conferimento dell'incarico può essere dimostrata anche facendo ricorso a una prova testimoniale. Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito «che il mandato professionale per l'espletamento di attività di consulenza e, comunque, di attività stragiudiziale non deve essere provato necessariamente con la forma scritta, ad substantiam ovvero ad probationem, poiché può essere conferito in qualsiasi forma idonea a manifestare il consenso delle parti e il giudice, in sede di accertamento del relativo credito nel passivo fallimentare, tenuto conto della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza, può ammettere l'interessato a provare, anche con testimoni, sia il contratto che il suo contenuto; inoltre l’inopponibilità, per difetto di data certa ex art. 2704 c.c., non riguarda il negozio, ma la data della scrittura prodotta, sicché il negozio e la sua stipulazione in data anteriore al fallimento possono essere oggetto di prova, prescindendo dal documento, con tutti gli altri mezzi consentiti dall’ordinamento, salve le limitazioni derivanti dalla natura e dall’oggetto del negozio stesso» (Cass. n. 2319/2016 e n. 4705/2011).

Peraltro la Corte specifica che non osta all’ammissione di una simile prova il fatto che il Codice civile prescriva la forma scritta per i patti che stabiliscono i compensi professionali degli avvocati, in quanto questa prescrizione riguarda non l’esistenza del mandato professionale, ma la sola misura del compenso, da determinarsi, in caso di mancato ricorso alla forma necessaria per la validità della pattuizione, secondo i criteri previsti dall’art. 2233 cod. civ.

Nel caso di specie il decreto impugnato contrasta con questi principi; quindi gli Ermellini hanno rinviato la causa al Giudice di merito, per nuovo giudizio.

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