giovedì 31 ottobre 2013

Bonus mobili, i controlli anti- errori (Approfondimenti da IL SOLE 24H)


Nel luglio scorso ho finito di ristrutturare il mio appartamento, per il quale detrarrò, dalla prossima dichiarazione dei redditi, il 50% delle spese sostenute. Ora sto utilizzando il bonus mobili per cambiare la cucina e il salotto. Vorrei chiedervi quali sono i passaggi corretti per non perdere questo beneficio. Infatti, un errore l'ho già fatto. Nel luglio scorso, ho comprato un grande congelatore per la cucina, pensando di detrarlo successivamente, ma non l'ho dichiarato al negoziante e ho pagato con assegno. Così, solo la gentilezza del commerciante mi ha consentito di stracciare l'assegno e ripetere il pagamento con un bonifico onde «salvare» il beneficio.


A.M. – MONZA
Le opere edilizie, la detrazione del 50%, la tipologia dei lavori, la data di inizio e infine, il tipo di arredo e il pagamento eseguito. Sono questi i controlli preliminari necessari a verificare la spettanza del bonus mobili, introdotto dal Dl 63/2013 (converito dalla legge 90/2013) per le spese sostenute fino al 31 dicembre 2013 e ora in procinto di essere prorogato per tutto il 2014 dal Ddl di stabilità all'esame del Parlamento.
La disposizione, da una prima lettura della norma, pareva essere più semplice, ma in realtà le variabili che potrebbero incidere sulla spettanza delle detrazioni sono numerose. A ciò si aggiunga che la circolare 29/E/2013, emanata dall'agenzia delle Entrate, pare inserire ulteriori dubbi, mai rilevati in precedenza. È necessario quindi che il contribuente verifichi la propria posizione, segnando su un'immaginaria "check list" di aver eseguito tutti gli adempimenti e possedere i requisiti per beneficiare del bonus.
Le opere edilizie
Al primo posto della lista di controllo c'è l'esecuzione di opere edilizie agevolate con la detrazione del 50 per cento. L'articolo 16 del Dl 63/2013 prevede, infatti, che la detrazione sui mobili spetti solo ai contribuenti che fruiscono di quella sulle ristrutturazioni edilizie. Vale a dire, quindi, che il soggetto deve aver eseguito dei lavori edili agevolabili e che per gli stessi deve poter accedere alla detrazione del 50% fino a 96mila euro.
Sotto questo aspetto, però, la circolare 29/E ha creato qualche difficoltà di interpretazione. La norma di legge, facendo generico riferimento al bonus sulle ristrutturazioni, pare ricomprendere tutte le opere elencate nel comma 1 dell'articolo 16-bis del Tuir. La circolare, invece, pare concedere la detrazione sugli arredi solo in presenza di lavori di manutenzione straordinaria, restauro e di risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia, ricostruzione o ripristino dell'immobile danneggiato da eventi calamitosi; oltre alla manutenzione ordinaria sulle parti comuni.
L'articolo 16-bis, però, agevola anche altre tipologie di opere, a prescindere dal loro inquadramento edilizio, come quelle finalizzate alla eliminazione delle barriere architettoniche o alla cablatura degli edifici o alla prevenzione di illeciti da parte di terzi. Se questi lavori ricadessero nella manutenzione ordinaria – secondo la lettura delle Entrate, più severa di quella di legge – sarebbero esclusi dal bonus. In realtà, la maggior parte di essi saranno quasi sempre di manutenzione straordinaria.
Per ridurre i rischi, quindi, è bene verificare – anche con l'aiuto di un geometra o di un altro tecnico – che i lavori siano da considerare almeno di manutenzione straordinaria. È importante far riferimento alla definizione nazionale del tipo di lavori dettata dal Dpr 380/2001 e non a quelle eventualmente diverse, stabilite dai Comuni (si veda «Il Sole-24 Ore» dell'8 ottobre scorso).
La data
Il secondo requisito da verificare, è relativo alla data di esecuzione delle opere. La circolare 29/E ha precisato che le spese di ristrutturazione agevolate al 50% devono essere state sostenute dal 26 giugno 2012 al 31 dicembre 2013, e che i lavori devono essere stati almeno avviati prima dell'acquisto dei mobili (non serve che siano stati completati, né che le spese per i lavori siano pagate prima di quelle per i mobili).
La norma
Al terzo punto della check-list è importante accertarsi che la detrazione che compete (o che si è scelta) sia quella relativa alle ristrutturazioni edilizie e non per il risparmio energetico. È il caso di ricordare che molti interventi possono rientrare sia in una sia nell'altra categoria. Ne consegue che, se per maggior convenienza, il contribuente ha deciso di detrarre il 65% (risparmio energetico) della spesa per la sostituzione della caldaia, in assenza di diversi interventi, non potrà beneficiare del bonus mobili.
Gli arredi
Terminati questi controlli preliminari, dovranno essere esaminati i mobili, gli arredi o gli elettrodomestici che si sono o si è in procinto di acquistare. Primo requisito: devono essere nuovi. È la stessa circolare a introdurre questa limitazione, sottolineando che è implicitamente prevista nella ratio della norma diretta a stimolare il settore produttivo di riferimento.
Gli acquisti agevolabili, poi, sono tutti i mobili, arredi e grandi elettrodomestici di classe energetica A+ o superiore (A o superiore per i forni) o anche privi di etichetta energetica, ma solo per le tipologie per le quali al momento l'etichetta non è ancora obbligatoria. Sono escluse, invece, le porte interne e il parquet.
A questo punto, il contribuente deve verificare – nel caso di acquisto già effettuato – di aver pagato con bonifico parlante analogo a quello per la detrazione "edilizia" del 50% o con carte di credito o di debito. Altre forme di pagamento, quali assegni o contanti, non sono ammesse e nel caso compromettono il diritto alla detrazione.
Il termine
Infine, è necessario che la spesa per arredi sia stata sostenuta a decorrere dal 6 giugno 2013, escludendo, pertanto, ogni acquisto precedente. Il termine entro cui effettuare il pagamento è – al momento – il 31 dicembre 2013, ma la legge di stabilità, come si accennava, dovrebbe prolungarlo di 12 mesi.
La detrazione
Premessi tali controlli, non resta che accertarsi di aver capienza di imposta dovuta, in quanto in caso contrario il bonus è perso. A tal proposito, infatti, è il caso di ricordare che la spesa detraibile va ripartita in dieci quote annuali e che non è ammesso alcun credito o rimborso. La spesa massima è di 10mila euro e la detrazione sugli arredi – pari al 50% – potrà essere al massimo di 500 euro all'anno.
Il contribuente può beneficiare della detrazione nel limite dell'imposta dovuta nell'anno. Considerando poi che va preliminarmente detratto il bonus sulle ristrutturazioni, che come detto è necessario al fine di poter accedere a quello sui mobili, potrebbe capitare che, per imposte dovute non particolarmente rilevanti, non vi sia capienza.


IL CASO RISOLTO
I LIMITI AL «BENEFIT»
IN CONDOMINIO
L'articolo 16 del Dl 63/2013 ha legato il bonus mobili alla fruizione da parte del contribuente della detrazione sulle ristrutturazione edilizie, attualmente pari al 50% delle spese sostenute fino a un massimo di 96mila euro. Il dubbio iniziale, emerso da una prima lettura della norma, era collegato alla spettanza del beneficio in capo al soggetto che aveva partecipato in qualità di condomino agli interventi eseguiti su parti comuni. Vale a dire, se detrarre le spese del condominio consentiva di beneficiare del bonus mobili per cambiare l'arredamento di casa propria. Con la circolare 29/E/2013 è stato chiarito che il soggetto che fruisce della detrazione per opere eseguite su parti condominiali può aggiungere il bonus mobili solo per gli acquisti di arredi destinati alle parti comuni delle edificio.



Il limite al pignoramento della pensione contro Equitalia è già operativo

"Ho ricevuto un atto di pignoramento presso terzi da parte di Equitalia che mi ha pignorato 1/5 della pensione Inps; l’Istituto di previdenza ha già provveduto ad operare un fantomatico “recupero obbligatorio” per una cifra pari ad 1/5 della pensione netta in contrasto, credo, con la normativa su pignoramenti delle pensioni operate alla fonte (art. 3 comma 5 del Decreto Legge 2 marzo 2012, n. 16).  La mia pensione lorda è di circa 1900 euro, mentre quella netta di 1525,26 euro. È legittimo questo comportamento su una persona che ha anche un figlio a carico e in condizione precarie di salute?"

A partire da marzo 2012, la legge  ha stabilito nuovi limiti di pignoramento che si applicano solo nel caso di debiti derivanti da tributi dovuti allo Stato (e, quindi, alle esecuzioni avviate da Equitalia S.p.A.). In virtù di ciò, le pensioni (o gli stipendi) che arrivino fino a 2.500 euro al mese, possono essere pignorate fino a massimo 1/10; quelle comprese tra 2.500 e 5.000, fino a massimo 1/7. In tutti gli altri casi resta fermo il limite di pignoramento pari a massimo un 1/5, fermo restando che, dopo il pignoramento, la pensione non deve scendere al di sotto del cosiddetto “minimo vitale” (pari a 525,89 euro: leggi l’articolo “Pensione: pignorabile solo 1/5 dell’importo che supera 525,89 euro”).

Al contrario, quando il creditore procedente è un soggetto diverso dall’Agente per la riscossione dei crediti dello Stato (come, per esempio, nel caso di un soggetto privato quale una banca, una finanziaria, ecc.), resta fermo il limite di pignoramento di 1/5, previsto in via generale dal codice di procedura civile.

La legge, dunque, pone il limite massimo di pignoramento di 1/10 per tutte le somme dovute a titolo di stipendio, salario o altre indennità come la pensione. È indubbio che, nel caso di specie, tale limite non sia stato tenuto in considerazione dal creditore procedente, che ha notificato al pensionato un atto di pignoramento per la misura di 1/5.

L’Inps, ovviamente, dal canto suo, ha effettuato – in attesa dell’udienza di assegnazione delle somme pignorate – la trattenuta per come richiesto nel pignoramento medesimo. Ma la legittimità di tale trattenuta verrà valutata dal giudice all’udienza di “assegnazione delle somme pignorate”.
A tal fine, per far valere il superamento del limite pignorabile, il pignorato dovrà svolgere un’opposizione all’esecuzione , valendosi necessariamente dell’attività di un avvocato.

Quanto alle altre condizioni personali che mi riferisce (figlio a carico e precario stato di salute), esse non influiscono sui limiti di pignoramento che, pertanto, rimangono intatti nella misura che Le ho appena evidenziato.

TRATTOdallaleggepertutti

Conti correnti, carte credito e titoli monitorati dal 31 ottobre: ECCO COME CI CONTROLLERANNO



Entro fine mese banche, Poste Italiane e gli altri operatori finanziari devono trasmettere all’Anagrafe tributaria importi e movimenti rilevati alla propria clientela: conti correnti, titoli e carte di credito saranno sotto il controllo del Fisco; nasce il database più completo al mondo.

Entro il 31 ottobre gli intermediari dovranno trasmettere all’Anagrafe Tributaria saldi e movimenti dei conti correnti di tutti gli italiani a partire dal 2011. Si tratta del più massiccio controllo che la nostra storia – e forse quella di qualsiasi altro Paese – abbia mai conosciuto. Ad essere segnalati al Fisco non saranno solo i conti correnti, ma anche i conti deposito titoli, le gestioni patrimoniali, le carte di credito/debito e i certificati di deposito. Qualsiasi dato servirà per contrastare le frodi piccoli e grandi ai danni dell’Erario che avrà così a disposizione il database più ricco e completo al mondo.

Sono tenuti all’invio le banche, Poste italiane, gli organismi di investimento e le società di gestione del risparmio.

In effetti dal 2006, l’agenzia delle Entrate attraverso l’Anagrafe dei conti è già in grado di conoscere i nominativi dei contribuenti che hanno avviato un rapporto finanziario e, per esempio, il numero di conti aperti in una o più banche. Ma d’ora in avanti potrà “vedere” molto di più. Lo spettro di dati trasmessi dagli intermediari alla “nuova” anagrafe dei rapporti finanziari sarà piuttosto vasto e penetrante, anche per gli anni passati.

Ciò che infatti intimorisce di più è la “retroattività” del nuovo Grande Fratello. Esso infatti andrà a scandagliare anche ciò che è avvenuto in tempi non sospetti, quando il comportamento degli italiani era più leggero e meno “accorto”.
Nei prossimi quattro giorni, infatti, si dovrà completare la comunicazione dei rapporti esistenti nel 2011 ed entro il 31 marzo 2014 dovranno essere censiti quelli del 2012. Dopodiché, i rapporti e i conti accesi dal 2013 in poi saranno invece trasmessi entro il 20 aprile dell’anno successivo. In questo modo il sistema andrà a regime.

Se, per esempio, aprirete un conto corrente presso una filiale, la vostra banca dovrà comunicare tutti i dati identificativi del rapporto, compreso il cosiddetto “codice univoco”, riferito al soggetto persona fisica o alla società che ne ha la disponibilità e a tutti i cointestatari (nel caso di intestazione a più soggetti), nonché i dati relativi al saldo iniziale al 1° gennaio e al saldo finale al 31 dicembre.
Inoltre, la banca dovrà comunicare gli importi totali delle movimentazioni effettuate nei 12 mesi, distinte tra dare e avere. In altre parole, dovranno essere specificati l’importo totale degli accrediti e degli addebiti dell’anno.

Oltre ai conti correnti, nel censimento fiscale saranno inclusi conti deposito titoli, gestioni patrimoniali, carte di credito/debito, certificati di deposito, buoni fruttiferi e perfino gli acquisti o le vendite di oro e metalli preziosi.

Per le cassette di sicurezza occorrerà segnalare, ad esempio, quante volte il titolare vi avrà avuto accesso.

Non confluiranno, al contrario, nell’archivio dei rapporti finanziari saldi e movimenti collegati a finanziamenti, crediti, garanzie e fondi pensione.


Nell’epoca dei social network, del Datagate, dei geolocalizzatori, non dovrebbe sorprendere più di tanto che il Fisco abbia libero accesso ai dati dei nostri conti correnti.

Se la nostra vita (anche privata) è facilmente raggiungibile via Facebook, se nessuna conversazione telefonica è inviolabile (neppure quelle della cancelliera Merkel), se le nostre abitudini d’acquisto sono scandagliate attimo per attimo con le carte fedeltà, perché dovremmo scandalizzarci se l’agenzia delle Entrate dispone nel dettaglio dei nostri movimenti bancari?

In realtà, era esattamente quello che dovevamo attenderci dopo anni di piccole e grandi evasioni, di furberie di ogni tipo. E se è vero che da un eccesso si passa sempre all’altro, e che siamo ormai transitati definitivamente dall’era del segreto bancario a quella della massima trasparenza, è anche vero che sarà ora difficile per gli italiani confrontarsi con una situazione completamente nuova. Le future generazioni dovranno rapportarsi con una realtà capovolta rispetto a quella in cui erano abituati ad operare i loro padri.

Poesia "Il Contabile"




Poesia "Il Contabile"

- Sei sempre lì a fare conti
- Per forza, sono il contabile!
- Ah! … Ma che conti fai? Che contabilità tieni?
- Conti di tanti tipi, ma sempre “Contabilità Umana”.
- Come sarebbe a dire “Contabilità Umana”?
- Eh! Contabilità umana! I conti degli uomini, bilanci di ogni tipo, bilanci di vita, bilanci d’amore, bilanci degli affetti, insomma di tutto un po’.
- Ma chi ti dà questi incarichi?
- Gli uomini. Tanti uomini di ogni genere, ma tutti accomunati da un unico problema.
- E cioè?
- Chiamano me perché a loro i conti non tornano.
- E tu riesci a farli tornare? Riesci a far quadrare i loro bilanci?
- No. Praticamente mai. Io sono solo un’ illusione.
- Ma come? Ma allora perché ti chiamano?
- Perché a loro i conti non tornano, ma cercano ugualmente qualcuno che provi a farglieli tornare, e allora, chiamano me.
- Ma tu dici che non riesci a farli tornare…
- In realtà quelli che mi chiamano, i conti li hanno già fatti, e anche bene. Mi chiamano perché a loro non piace il risultato finale.
- E tu cosa fai?
- Niente. Dico loro che il risultato è giusto, che le cose stanno così, che i conti non tornano ma che non ci si può far nulla.
- Ma perché?
- Per un motivo semplicissimo.
- E cioè?
- Il motivo è che non si può tornare indietro. Non si può andare nel passato a modificare gli addendi e quindi i totali negativi non possono cambiare.
- E allora cosa si può fare?
- Niente! Si può solo provare a prenderne atto e ad accettare la cosa. Si deve cercare di capire perché i conti sono negativi, per provare ad avere migliori risultati da lì in avanti… sempre che avanti ci sia ancora qualcosa. Questi uomini dovrebbero pensarci prima, ma prima non lo sanno. Nessuno glielo spiega…. Anzi, a volte qualcuno che prova a spiegarglielo ci sarebbe anche, ma loro all’ inizio non ci credono mai! Non lo sanno e non possono nemmeno immaginarlo!
- Cosa?
- Che prima o poi arriva per tutti il “Momento del Contabile”.
- Ma cos’è?
- E’ quel momento in cui tutti cominciano a fare i conti. Il tempo passa, ma all’ inizio non ci pensi. Vivi senza avere la più pallida idea che quei momenti non li avrai più. E così, spesso, il tempo lo butti via. Non lo coltivi. Non ti preoccupi delle emozioni perché sei convinto che possano durare in eterno, ma quando non le senti più e incominci a fare i conti, spesso è troppo tardi e non c’è più niente da fare.
- Ma questo è molto triste.
- Sì, è molto triste, ma non ci si può far nulla.
- Ma ne sei sicuro?
- Certo! Succede spesso sai? Molto più spesso di quanto non si possa immaginare.
- Ma proprio non c’è niente da fare?
- No. E’ la vita umana che è così. Non si possono fare miracoli. Io poi non posso proprio. Se i conti non tornano… è così e basta!
- Ma perché?
- Perché io… sono solo il contabile!

Per l’agevolazione “prima casa”, la residenza è sempre indispensabile

dichiarazione
Non è sufficiente, per conservare i benefici fiscali, la dichiarazione di volontà, al momento dell’acquisto, di destinare l’immobile ad abitazione entro i termini previsti
dichiarazione
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 22944 del 9 ottobre, ha chiarito che è insufficiente, per conservare i benefici fiscali sulla prima casa, la dichiarazione di volontà, rilasciata al momento dell’acquisto, di destinare l’immobile ad abitazione entro i termini previsti dalla legge. A ciò deve seguire il trasferimento nell’appartamento.

La vicenda
Il caso concerne un contribuente che aveva donato la propria casa di abitazione per la quale aveva fruito delle agevolazioni “prima casa” senza che fosse stato acquistato entro un anno un altro immobile adibito ad abitazione principale, nonostante la manifestazione in sede di rogito della volontà di trasferirsi nel nuovo appartamento.
Qui, l’acquirente aveva soltanto provveduto all’allaccio di alcune utenze domestiche, per cui l’ente impositore ha notificato avviso di liquidazione per l’intervenuta decadenza dei benefici fiscali, recuperando le ordinarie imposte di registro, ipotecaria e catastale, oltre le relative sanzioni.

L’impugnazione dell’atto impositivo non ha sortito alcun effetto presso il giudice tributario, né in primo né in secondo grado, ritenendo necessario - la Commissione tributaria regionale - l’utilizzo effettivo come abitazione principale dell’immobile acquistato, in concreto non dimostrato.

L’interessato ha quindi proposto ricorso per cassazione, motivandolo con la circostanza con cui dimostrava che aveva acquistato – nei termini – un altro immobile, anche se abitato effettivamente solo dal mese di aprile dell’anno successivo.
Inoltre, il ricorrente sosteneva, in violazione dell’articolo 1, nota II-bis), comma 4, della tariffa, parte prima, allegata al Dpr 131/1986, che la disposizione normativa, secondo cui il beneficio in esame non si perderebbe nell’ipotesi in cui venisse riacquistato entro l’anno un “immobile da adibire” ad abitazione, va interpretata in senso letterale e non intendendo che tale immobile debba effettivamente poi essere “adibito” a tale utilizzo.
Infatti, l’utilizzo effettivo sarebbe, ad avviso del ricorrente, “implicito e presupposto in presenza di casa avente le caratteristiche abitative”.

La sentenza impugnata avrebbe altresì implicitamente richiesto un trasferimento definitivo (o comunque prolungato nel tempo) nella nuova casa di abitazione, quando, invece, non è prevista alcuna durata minima, né ha considerato idonea e sufficiente la prova dell’utenza idrica per dimostrare un utilizzo – comunque avvenuto – della nuova casa di abitazione.

La decisione
La Corte suprema rigetta il ricorso del contribuente, ritenendolo del tutto infondato.
In particolare, per la sezione tributaria, il permanere dell’agevolazione “prima casa” è “accordato se il contribuente entro il successivo anno proceda all’acquisto di altro immobile da adibire ad abitazione principale”, evidenziando come la dichiarazione con la quale si manifesta la volontà di procedere al riacquisto non è riferibile né a una “qualità astratta del bene”, né – tantomeno – a una “mera dichiarazione di intenti”, costituendo, al contrario “l’assunzione di un vero e proprio obbligo verso il fisco”, consistente nella decisione di adibire l’immobile acquistato ad abitazione principale.
È perciò corretto ritenere che non possa sussistere, all’atto del riacquisto successivo alla vendita, una mera intenzione di abitare l’unità immobiliare, ma che, al contrario, a esso debba corrispondere un utilizzo reale dell’alloggio, consistente nell’effettiva abitazione dello stesso.

Nell’ambito dell’imposta di registro, ricorda la Cassazione, il conseguimento dei benefici fiscali per l’acquisto della “prima casa” è subordinato alla realizzazione dell’intendimento – dichiarato nell’atto di compravendita – di destinare l’immobile a propria abitazione entro il termine triennale di decadenza stabilito dall’articolo 76, comma 2, del Dpr 131/1986.
La decorrenza del predetto termine per l’esercizio del potere di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria è stabilita nel momento in cui la manifestazione di volontà sia definitivamente decaduta per scadenza dei termini (cfr Cassazione 13491/2008).
Infatti, con la scadenza del termine triennale per l’utilizzo a scopi abitativi dell’immobile acquistato, inizia logicamente a decorrere il termine triennale entro cui l’Amministrazione finanziaria deve procedere alla revoca del beneficio (cfr Cassazione 1196/2000).
 dichiarazione
Per la Corte suprema, il principio vale sia nel caso di vendita infraquinquennale seguita dall’acquisto di altra abitazione entro l’anno sia nel diverso caso di mancato trasferimento della residenza nel comune entro i diciotto mesi dalla registrazione dell’atto, tenuto conto che l’agevolazione per l’acquisto della prima casa è, comunque, volta a incentivare l’acquisto di un’unità immobiliare – da destinare ad abitazione del compratore – nel comune di residenza o (se diverso) in quello ove lo stesso svolge la propria attività.

Peraltro, la realizzazione dell’impegno di trasferire la residenza costituisce un vero e proprio obbligo del contribuente verso il Fisco, nella cui valutazione può solo, eventualmente, tenersi conto della sopravvenienza di un caso di forza maggiore (cfr Cassazione 17249/2013).

Valido l’accertamento tributario anche se il verbale non è firmato


In materia fiscale, le eventuali irregolarità non comportano sempre l’inutilizzabilità dei dati, dei documenti e degli elementi acquisiti dall’Amministrazione finanziaria
verbale
Legittima la ricostruzione induttiva del reddito, calcolato sui dati raccolti dalla Guardia di finanza, dai quali era evidente l’inattendibilità della contabilità dell’impresa, anche se il verbale non era stato firmato dalla titolare e la verifica fiscale si “sarebbe” svolta alla presenza del solo marito.
Questo è quanto ha affermato la Corte di cassazione con l’ordinanza 23839 del 21 ottobre, accogliendo il ricorso promosso dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di secondo grado della Ctr, che aveva premiato la tesi difensiva di un’imprenditrice familiare, alla quale era stato contestato il mancato versamento delle imposte sia dirette sia indirette e delle addizionali regionali.
In particolare, il giudice di seconde cure aveva evidenziato l’invalidità della verifica fiscale condotta dagli uomini del Fisco in assenza della titolare, ma in presenza di un suo stretto collaboratore familiare, nonché marito. Secondo l’organo giudicante, l’atto dell’accertamento si basava su dati acquisiti non in modo legittimo nel corso della verifica stessa, il che comportava la carenza dei presupposti sostanziali e la nullità dello stesso.

L’Amministrazione finanziaria, nel ricorso principale per cassazione, aveva evidenziato, invece, che la Ctr, nel suo giudizio, non aveva tenuto conto che la titolare dell’impresa familiare era presente durante la verifica della Guardia di finanza e che, tra l’altro, si era rifiutata di firmare il verbale consegnatole alla fine dell’accertamento.
La presenza del marito dell’imprenditrice, nonché stretto collaboratore della stessa, che era a conoscenza della gestione del negozio, secondo la tesi degli uffici finanziari, garantiva che l’attività di accertamento dei redditi celati era stata condotta senza arrecare alcun danno sia alla contribuente sia alla sua attività.

La difesa presentava controricorso.



La Corte di cassazione ha accolto il ricorso principale dell’Agenzia delle Entrate, dichiarandone la fondatezza, ritenendo di non dover accogliere, di converso, il controricorso presentato dai difensori della contribuente.
In particolare, i giudici di legittimità chiariscono che la redazione del processo verbale di constatazione è l’atto conclusivo dell’attività accertativa, frutto di una serie di procedimenti ai quali possono lecitamente partecipare anche diversi organi amministrativi e la cui motivazione può avvenire anche per relationem, ovvero anche per “rinvio pedissequo” alle conclusioni contenute nell’atto istruttorio che, nella fattispecie, è proprio il pvc redatto dalla Guardia di finanza.

Il Collegio sottolinea come, contrariamente a quanto succede nella sede penale, l’eventuale irregolarità dei dati e dei documenti acquisiti dall’Amministrazione finanziaria, in sede tributaria, non inficia sulla loro corretta utilizzabilità.
L’effetto di questo principio applicato al caso di specie legittima, secondo la Corte di cassazione, l’utilizzo delle documentazioni fiscali da parte dell’Agenzia delle Entrate, in sede di ricostruzione induttiva del reddito dell’imprenditrice, calcolato sugli elementi contabili raccolti dalla Guardia di finanza. Detti documenti avevano, inoltre, palesato l’inattendibilità della contabilità dell’impresa.

Anche la Corte costituzionale ha confermato positivamente la possibilità di utilizzare nel processo tributario le sole dichiarazioni rese da soggetti terzi in sedi di istruttoria amministrativa, non dunque penale, proprio perché siffatte dichiarazioni non possono essere ritenute prove testimoniali, ma trovano loro utilizzo come indizi; le dichiarazioni rese da terzi ex articolo 351 cpp sono, invece, da ritenersi come vere e proprie prove testimoniali. In particolare, la Suprema corte, con la sentenza 7707/2013, ha chiarito come il giudice tributario non possa escutere testimoni, ma può valutare i documenti che contengano dichiarazioni di terzi, anche a favore del contribuente.

È proprio l’articolo 7, comma 4, del Dlgs 546/1992, a vietare espressamente l’ammissione della prova testimoniale nel giudizio davanti alle Commissioni tributarie e il giuramento dei testimoni. Infatti, la giurisprudenza prevalente ha ritenuto legittimo che i giudici formassero il proprio convincimento tenendo conto anche delle dichiarazioni di terzi contenute nei processi verbali degli uffici tributari e/o della Guardia di finanza, nell’ambito della loro attività ispettiva.

Dunque, alla luce di quanto detto, la Corte di cassazione ha accolto il ricorso in via principale dell’Agenzia delle Entrate, rinviando la decisione al giudice di appello per nuovo esame, che dovrà uniformarsi ai principi enunciati.
Valerio Giuliani

BANDO DI GARA PROCEDURA APERTA PER L'AFFIDAMENTO DEL SERVIZIO di Formazione degli assistenti familiari e certificazione delle competenze

Provincia di Cosenza - Bando di gara per l'affidamento del servizio di formazione degli assistenti familiari

Ti parliamo oggi di un BANDO il cui Ente Appaltante è la Provincia di Cosenza e la cui scadenza è fissata alle ore 12.00 del 05/11/2013

L’importo d’appalto è pari ad € 251.076,92 (Euro Duecentocinquantunomilasettantasei/92) oltre I.V.A. al 4%, di cui € 153.926,92 (su cui effettuare il ribasso) e la cui differenza rappresenta i costi di gestione non soggetti a ribasso per l’importo di € 97.150,00 (€ 80.000,00 per indennità forfettaria partecipanti, € 9.000,00 per RCT, INAIL e cauzione definitiva, € 8,150,00 per commissione d’esami finali)

Chi può partecipare?

  • Cooperative sociali di tipo “A” (ex L. 8 novembre 1991 n.381), i loro consorzi già costituiti e/o costituendi, i raggruppamenti temporanei fra dette cooperative, purché siano iscritte all’Albo provinciale delle Cooperative sociali; 
  • le Associazioni del Volontariato iscritte al Registro provinciale delle Organizzazioni di Volontariato;
  • gli Enti No Profit e le Associazioni di promozione sociale accreditati in Regione (sono esclusi dalla partecipazione alla gara tutti gli altri operatori economici), in possesso dei requisiti economico-finanziari  e tecnico-professionali riportati nel bando e nel disciplinare.

Le offerte dovranno pervenire a: Provincia di Cosenza – Settore Affari Generali e Sociali – viale Crati, loc. Vaglio Lise - 87100 Cosenza
Ogni operatore economico dovrà presentare una sola offerta, non saranno ricevibili offerte sostitutive di quella già depositata.
A pena di esclusione dalla gara l’offerta dovrà essere contenuta in un unico plico non trasparente, chiuso, sigillato con scotch, senza ceralacca, controfirmato su tutti i lembi di chiusura compresi quelli già preincollati dal fabbricante e dovrà riportare la dicitura:
"PROCEDURA APERTA PER L'AFFIDAMENTO DEL SERVIZIO di Formazione delle assistenti familiari e certificazione delle competenze"

Il plico potrà essere inviato:
− mediante servizio postale, a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento;
− mediante corrieri privati o agenzie di recapito debitamente autorizzati;
− consegnato a mano da un incaricato dell’operatore economico offerente presso il protocollo generale dell’Ente

eccoti il bando disciplinare di gara
http://servizi.provincia.cs.it/alboonline.nsf/0ae3b9da28e8f756c125780f00351415/a8f542948627511cc1257bb1002821ff/$FILE/Bando%20di%20gara%20assistenti%20familiari.pdf

Spese pazze Emilia Romagna: il consigliere Pd Monari pronto a fare passo indietro di Deborah Dirani




La colpa è della stampa: sono i giornalisti che continuano a pubblicare notizie con nomi e cognomi (tra cui ovviamente il suo) ad essere nel torto. In estrema sintesi il messaggio arrivato ieri sera dal capogruppo Pd in Regione Emilia Romagna, Marco Monari, indagato per peculato assieme agli altri 8 capigruppo dell'amministrazione, è questo. E' questa botta di vittimismo da agnello immolato sull'altare dello scandalo che, però, si unisce ad una presa di coscienza tale da indurre il numero uno dei democratici di viale Aldo Moro a riflettere sull'opportunità di dimettersi.
Un passo indietro: Monari, secondo le carte al vaglio della finanza avrebbe chiesto e ottenuto rimborsi per 30 mila euro tra giugno 2010 e dicembre 2011. La voce di spesa sotto la quale sono spuntati questi 30 mila euro è 'ristorazione': oltre 2000 euro al mese per andare a mangiare assieme a un ristrettissimo gruppo di commensali in ristoranti pluristellati capaci di staccare ricevute per tre coperti anche di 689 euro. Ma Marco Monari, odontotecnico ex Margherita fiorita nel Pd, non ci sta a venire additato come mangione a scrocco delle tasche dei contribuenti e per questo, dopo un paio di giorni di silenzio tombale, prende carta e penna e scrive una nota: "So bene il disagio ed il disorientamento che le indiscrezioni hanno prodotto in tanti cittadini, elettori e iscritti del Pd ed è un disagio che, ovviamente, vivo anche io.
Per questo sono pronto a fare un passo indietro da presidente del gruppo, senza che nessuno me lo debba chiedere, perché per me il rapporto con la nostra gente è la cosa più importante. Lo farò sinceramente appena capirò, al di là delle indiscrezioni, la consistenza e la natura delle contestazioni che mi verranno eventualmente mosse. Confido quindi nel più rapido accertamento dei fatti da parte della magistratura, questo perché non si possono fare processi sommari". I processi sommari, secondo Monari, sono quelli 'istruiti' dai cronisti che raccontano di quei soldi usati per mangiare in posti che un comune mortale sa a malapena che esistano, così continua puntando il dito contro la stampa: "Debbo rilevare il continuo stillicidio di notizie che, attingendo a fonti di incerta provenienza, sottopongono quotidianamente il sottoscritto ad una vera e propria gogna mediatica, arrivando a rappresentarmi come uno scialacquatore di denaro pubblico e distributore di finta beneficenza, cosa che non sono e lo dimostrerò.
L'esistenza di un'indagine della magistratura tuttora in corso richiederebbe a tutti cautela e responsabile prudenza nella diffusione di dati non controllati ed allo stato non controllabili, oltreché sottoposti a vincoli di segretezza investigativa. Ritengo tuttavia a questo punto necessario, per rispetto dell'Istituzione di cui faccio parte e per rispetto degli elettori, affermare con forza la mia profonda convinzione che nessun reato sia stato commesso" . Tutto come da copione, ma a questo punto urge una precisazione: la provenienza delle notizie non è incerta, a meno che per Marco Monari ad essere incerte siano le istituzioni preposte all'amministrazione della giustizia.

Oggi lo sciopero dei 309mila bancari: i disagi per i clienti di Nicola Borzi



L'ultima volta è stato il 10 settembre, primo e 4 ottobre 2004: i bancari scioperarono per il rinnovo del contratto di categoria, le cui trattative si erano fermate a luglio. Nove anni dopo, oggi i 309mila lavoratori delle aziende di credito associate all'Abi incroceranno le braccia "contro la disdetta unilaterale e anticipata dei contratti nazionali, per il mantenimento del fondo di solidarietà, contro le minacce di nuovi tagli a occupazione e retribuzioni". L'agitazione è stata indetta dopo che il 16 settembre l'Abi ha disdettato unilateralmente – con un anticipo di tre mesi e mezzo sui termini – il contratto collettivo nazionale dei bancari siglato il 19 gennaio 2012. Quel contratto, con un aumento medio a regime di 170 euro, per l'Associazione bancaria è ormai troppo oneroso, con aumenti non più sostenibili a fronte del peggioramento dello scenario economico e produttivo, come spiega l'intervista a Francesco Micheli, presidente del Comitato affari sindacali e del lavoro e vicepresidente dell'Abi. Per i sindacati invece il settore e i suoi lavoratori meritano più attenzione anche da parte del Governo, alla luce del consistente bonus fiscale per gli istituti di credito previsto dalla Legge di Stabilità


Il nodo del costo del lavoro
L'Abi ha ricompattato Dircredito, Fabi, Fiba/Cisl, Fisac/Cgil, Sinfub, Ugl Credito, Uilca e Unità Sindacale Falcri Silcea. Le otto sigle del settore respingono all'unisono, con accenti diversi, ragioni e modalità della disdetta. Tre in sintesi le critiche dei sindacati alle argomentazioni dell'Abi. La prima riguarda il costo del lavoro: le banche sostengono che gli oneri, compresa la voce importante della previdenza integrativa, non sono più sostenibili da conti economici zavorrati dalla contrazione del business e dal peso delle sofferenze anche per la progressione di carriere e scatti automatici. Per i sindacati, come mostra questa tabella, il costo del lavoro, sia a livello di sistema, sia unitario, è invece già calato sotto la media dei concorrenti europei.
La questione del Fondo di solidarietà
In parallelo c'è la riforma dell'ammortizzatore sociale di settore, il fondo di solidarietà, totalmente autofinanziato da imprese e lavoratori, che per le banche è ormai troppo oneroso e per i sindacati va salvaguardato specie quanto a volontarietà di accesso. Dal 2000 sono transitati per il Fondo di solidarietà circa 48mila lavoratori; oggi il fondo eroga assegni straordinari a circa 15mila persone. L'accesso al fondo è avvenuto prevalentemente su base volontaria, con maggiori oneri per incentivazioni aggiuntive e adottando soluzioni provvisorie rispetto agli obiettivi di efficientamento. Per l'Abi c'è l'esigenza di valutare la reale consistenza degli ulteriori esuberi che potrebbero crescere per l'aumento dell'operatività on line, la riduzione dei volumi e la ridefinizione delle reti fisiche.


L'evoluzione di inquadramenti e mansioni
Altro fronte del contendere, anche più caldo del primo, riguarda la parte normativa del contratto specie su inquadramenti e mansioni. L'Abi chiede maggior flessibilità e revisione dei ruoli per seguire clienti sempre più nomadi e, con il boom dell'online banking, meno legati allo sportello. I sindacati rispondono che le pressioni commerciali sono al parossismo e temono l'emersione di figure professionali meno tutelate .
La contesa formale sulla disdetta
Ci sono infine le modalità: sinora sindacati e Abi disdettavano separatamente ma all'unisono il vecchio contratto, con una liturgìa preparata e attesa che dava modo di programmare i tempi e i modi del confronto. La mossa dell'Abi è stata interpretata da sindacati e lavoratori come la minaccia di un confronto più duro. Lo sciopero di oggì, così, sarà la cartina di tornasole dei mesi a venire.


Le ricadute sui clienti
Alla fine della giornata, è prevedibile che tra le cifre sull'adesione presentate dai sindacati e quelle rese note dall'Abi ci sarà una notevole discordanza sia quanto al numero di addetti che avranno incrociato le braccia sia per quanto attiene il totale degli sportelli bancari rimasti chiusi. Mentre alcune funzionalità delle banche non dovrebbero subire contraccolpi (si pensi a tutto ciò che ha a che fare con procedure automatizzate quali la ricezione di versamenti, stipendi e pensioni, il pagamento di bonifici, la richiesta di estratti conto, i movimenti sull'online banking, oppure prelievi, ricariche, pagamenti e versamenti tramite la rete degli sportelli Bancomat – purché gli Atm siano stati preventivamente riforniti di contante e si trovino all'esterno delle filiali-, è probabile che altre tipologie di interventi dovranno essere rimandate a nuova data. Si pensi in particolare tutti quelli che richiedono l'assistenza dello sportellista o di addetti specializzati, come il versamento e la richiesta di assegni, la sottoscrizione di strumenti finanziari allo sportello, l'apertura di nuovi conti, la stipula di mutui, la sottoscrizione di polizze.


La trasmissione dei dati all'Anagrafe dei rapporti all'Agenzia delle Entrate
Oggi scade il termine per le banche, le fiduciarie, Sim, intermediari ex articolo 106 e 107 del Testo unico bancario, holding di partecipazioni ex articolo 113 del Tub della trasmissione della documentazione all'Anagrafe dei rapporti dell'Agenzia delle Entrate relativa al 2011. In particolare le banche devono trasmettere per ogni cliente il saldo di inizio anno e quello di fine anno e, per i conti correnti, il totale dei movimenti in dare e di quelli in avere, ma anche il numero di accessi alle cassette di sicurezza e quant'altro. Chi non avesse ancora provveduto potrebbe trovarsi impossibilitato a farlo oggi, causa sciopero. Dall'Agenzia delle Entrate, vista la comcomitanza dello sciopero, hanno fatto comunque sapere che, almeno per questa volta, non scatteranno sanzioni in caso di ritardo nel completamento della trasmissione dei dati.

Il Papa celebra a sorpresa sulla tomba di Wojtyla


Francesco ha voluto ricordare il 68esimo anniversario dell'ordinazione sacerdotale di Giovanni Paolo II che ebbe luogo il primo novembre 1946 a Cracovia

 
Papa Francesco ha celebrato questa mattina sulla tomba di Giovanni Paolo II in San Pietro. Ogni giovedì alle 7 la comunità polacca si riunisce per pregare sull'altare sotto il quale è stata collocata la bara del Pontefice dopo la beatificazione del primo maggio 2011, e questa mattina Bergoglio ha voluto unirsi a loro anche per ricordare il 68esimo anniversario dell'ordinazione sacerdotale di Karol Wojtyla che ebbe luogo il primo novembre 1946 a Cracovia. La celebrazione - come avviene ogni settimana - è stata trasmessa dalla Radio Vaticana nel suo programma polacco.


Con il Pontefice, segnala il Sismografo, sito aggiornato in tempo reale sull'attività della Santa Sede, hanno concelebrato 120 sacerdoti in gran parte polacchi. I fedeli presenti erano numerosi. La tomba del beato Giovanni Paolo II, dopo la sua beatificazione è stata allestita nella Cappella di San Sebastiano, ove è collocato il grande mosaico del Martirio di San Sebastiano, realizzato sulla base di un dipinto del Domenichino da Pier Paolo Cristofari. Nella cappella, coperta da una volta decorata con mosaici di Pietro da Cortona, sono conservati anche i monumenti realizzati nel corso del Novecento per Pio XI e Pio XII.

 

All'omelia, il Papa ha commentato le letture del giorno: la lettera di San Paolo ai Romani in cui l'apostolo delle Genti parla del suo amore per Cristo e il passo del Vangelo di San Luca in cui Gesù piange su Gerusalemme che non ha capito di essere amata da Lui.

Ricordando Federico Fellini....due testimonianze, un video, il nostro saluto!



"Ero tra i cronisti che seguirono gli ultimi giorni di Federico Fellini.
Il Maestro nel mese di giugno del 1993, aveva subito un intervento in Svizzera per la riduzione di un aneurisma dell'aorta addominale. Nell'agosto seguente, due mesi dopo, il primo ictus a Rimini, dovute a complicazioni trombo-ischemiche post operatorie.  Fellini cominciò un periodo di riabilitazione (esistono anche foto che testimoniano la sua riscoperta del disegno manuale), ma nel pomeriggio della domenica 17 ottobre viene ricoverato nuovamente a Roma, per un nuovo ictus, seguente a una disfagia indotta da un frammento di cibo che aveva ostruito la trachea.
Fui tra i primi ad arrivare, la sera del 17 ottobre al Policlinico Umberto I.
E soltanto il giorno dopo si scatenò quel circo che avrebbe molto divertito il Maestro e che per molti versi sembrava proprio il set ideale di uno dei suoi film.
L'agonia durò 14 giorni.  Per quel che se ne seppe, Fellini rimase durante quei giorni sempre incosciente.

Ho ricordi molto vivi di quei giorni.  I bollettini medici letti dai medici di turno ai giornalisti, la visita di Ettore Scola e di Franco Zeffirelli il martedì 19 ottobre, gli unici due colleghi a mostrarsi in visita.    I due amici e collaboratori di sempre Maurizio Mein e Roberto Mannoni, fissi sulle panche fuori del reparto di terapia intensiva a fare da raccordo fra la famiglia e l'ansia da notizia dei cronisti. La leggenda dei sotterranei del Policlinico, che consentirono a Giulietta Masina e a molti altri di passare inosservati, schivando i giornalisti.  Uno dei più assidui fu il Cardinale Achille Silvestrini, amico personale di Fellini.
I molti ammiratori, di tutte le età, come quel ragazzo - accompagnato dalla madre, una corpulenta dalla pettinatura bionda tinta - che cercò di convincere fino alla fine gli infermieri a lasciarlo entrare: teneva in una busta di plastica un walkman con una musica miracolosa che avrebbe "risvegliato" il Maestro.
L'orrendo episodio che vide coinvolti alcuni paparazzi - che terribile nemesi per il regista de La Dolce Vita ! - i quali riuscirono proditoriamente, intrufolandosi nel reparto di notte, a scattare alcune foto a Fellini sul letto di morte, intubato, cercando di piazzarle al miglior offerente (impresa che poi fortunatamente non riuscì).
I collegamenti degli inviati e delle televisioni di tutto il mondo, l'ospedale trasformato in una specie di palcoscenico per la diretta TV.
Ci furono molte cose singolari, in quei giorni. Soprattutto per chi conosceva, aveva familiarità con la passione  sempre nutrita in vita da Fellini per l'occulto, per la psicologia e la para-psicologia, per i fenomeni di sincronicità junghiana.
Una cosa che sembrò curiosa fu l'oltrepassamento della data del 30 ottobre. Era la data in cui si celebravano le nozze d'oro: 50 anni del matrimonio con Giulietta Masina.
Fellini morì proprio il giorno dopo, Domenica 31 Ottobre poco prima dell'ora di pranzo.
La camera ardente - prima di quella scenografica nel suo Studio 5 a Cinecittà, dove sfilarono migliaia di persone - fu allestita all'Ospedale. Il primo ad entrare fu il Presidente Scalfaro.
Lunedì 1 Novembre, la chiusura e il trasporto della bara a Cinecittà.
L'omaggio definitivo, nel luogo preferito della sua creazione, proprio il 2 novembre, giorno dei Morti. Coloro che, in fondo, non aveva mai smesso di interrogare, da Otto e mezzo a La voce della Luna.  Ora anche lui ne faceva parte.
I funerali furono celebrati mercoledì 3 Novembre nella Basilica di Santa Maria degli Angeli. Un addio in grande stile, preludio di quel grande vuoto lasciato, che ancora oggi occupa il centro della scena della cultura nel nostro paese."
Fabrizio Falconi


"Un viaggio nell’universo di Federico Fellini, tra ricordi, documenti storici e fiction.

Ettore Scola, porta al Lido la sua “amarcord” dal titolo "Che strano chiamarsi Federico".
E in molti si commuovono. Il regista di Una giornata particolare costruisce un ritratto/ricordo dell’amico conosciuto nel 1947, quando a sedici anni lo incontrò nella redazione del giornale Marc’Aurelio. È stato subito colpo di fulmine, da quel momento i due sono rimasti amici per cinquant’anni. Il film racconta la storia di un’amicizia che ha segnato il cinema italiano. I due registi sono interpretati dai nipoti di Scola, Giacomo e Tommaso Lazotti, ma ci sono anche Sergio Rubini, Maurizio De Santis ed Ernesto D’Argento, nel ruolo di Marcello Mastroianni.
 Si parte dal debutto di Fellini nel 1939 al 1993, anno del suo quinto Oscar e del suo ultimo compleanno, il settantesimo, si attraversano gli studi di Cinecittà e ovviamente si entra nel “suo” Teatro 5 dove Scola ha girato il film.Un film rivolto ai giovani - “Il nostro è un album ricco di fotografie, scritti e ricordi e come capita alcuni ricordi possono essere offuscati, così li abbiamo ricostruiti attraverso la finzione – spiega Scola, premiato qui a Venezia con il Jaeger-Le Coultre Glory To The Filmaker 2013 Award – questo album è rivolto ai giovani perché Fellini ha parlato e parla a loro. “Non è stato facile selezionare la quantità enorme di materiale di repertorio e unirlo a un racconto sceneggiato – racconta Silvia, figlia di Scola, sceneggiatrice insieme alla sorella Paola – comunque il punto di partenza è stato l’ironia tra questi due maestri e l’ammirazione di mio padre per Fellini. Il fatto che in molti ci dicano che il nostro lungometraggio commuove ci ha spiazzato - commenta – e non può che farci piacere”."
Ettore Scola

Sarà la nostalgia di un certo cinema?
Sarà che un regista come Fellini non lo abbiamo ancora trovato?

Non importa, lasciatevi andare e specie stasera riguardatevi un film targato Federico Fellini

- La Dolce Vita "Fontana di trevi"



Chi di noi non ricorda questa scena?

Non solo per questo....ma ANCHE per questo capolavoro.....Grazie Federico Fellini!

mercoledì 30 ottobre 2013

Credi in te! Ed in noi!


"Le persone diventano veramente straordinarie quando cominciano a credere di poter fare le cose. 
Quando credono in se stesse hanno il primo segreto del successo."



Se domani qualcuno vi chiederà "Dolcetto o Scherzetto" vi suggeriamo come rispondere :-)

....perchè Informazione è ANCHE questo

Ricetta del Pan dei morti

Pan dei morti ricetta

Il Pan dei Morti, un dolce tipico, di antica tradizione che si prepara per Halloween e per il giorno della commemorazione dei defunti: ricetta, ingredienti, dosi, preparazione e cottura

 Ingredienti Ricetta:
amaretti 500 g
farina per dolci 250 g
albumi 4
uvetta 150 g
mandorle pelate 100 g
nocciole tostate 100 g
fichi secchi 100 g
lievito 10 g
cannella 1 pizzico
vino bianco q.b
zucchero a velo q.b
pan dei morti-ricetta

Preparazione dell’impasto del pan dei morti

Mettete in ammollo l’uvetta in acqua tiepida, poi strizzatela ed asciugatela. Riducete i fichi a pezzetti piccoli.

liquore-crema-nocciole

Frullate le mandorle e le nocciole. Separate gli albumi dai tuorli e sbatteteli a neve densa.
liquore-crema-nocciole


Mescolate in una terrina la farina, gli amaretti, lo zucchero, il lievito, la cannella e poi versate il tutto su una spianatoia. Fate un buco centrale ed incorporatevi l’uvetta, gli albumi, i fichi e il vino bianco a filo ed impastate fino ad ottenere un composto consistente e lasciatelo riposare per 10 minuti. Riprendete l’impasto e confezionate delle piccole pagnotte a forma tonda oppure ovale e poi disponetele ponetele sulla placca del forno ben distanziate tra loro.
Torta con albumi e mandorle


Preriscaldate il forno a 180° e fatevi cuocere il “Pan dei morti” per 20 minuti circa. Estraete le pagnottine dal forno, lasciatele raffreddare e prima di servirle in tavola spolverizzatele con lo zucchero a velo e accompagnatele con il “vin santo“.

Che lavoratore sei? Hai più potenzialità da imprenditore o da impiegato?



Non sempre il lavoro che facciamo corrisponde alle nostre attitudine, prova a scoprire che tipo di lavoratore sei? Questo test ti sarà molto utile per scoprire se sei più portato a svolgere un lavoro autonomo o dipendente.

Prendi carta e penna e rispondi a queste domande (una risposta per domanda):

1. “Meglio un uovo oggi che una gallina domani” è un proverbio adatto a:
A. Gli impazienti.
B. Gente con i piedi per terra.
C. I mediocri.

2. Una petroliera che affonda nel Mediterraneo fa pensare a:
A. Questa estate dovrò cambiare spiaggia.
B. Aumenterà il prezzo della benzina.
C. Chissà per quanti miliardi era assicurata.

3. A che cosa non rinunceresti mai?
A. Alle vacanze estive.
B. All’automobile.
C. Al caffè dopo il pranzo.

4. Sai esattamente che cosa c’è nel tuo portafoglio oltre ai soldi?
A. Sì.
B. Ho dimenticato fino a tre cose.
C. Ho dimenticato oltre tre cose.

5. “Volli sempre volli fortissimamente volli”. Oggi chi lo direbbe?
A. Antonio Di Pietro.
B. Solo mio nonno.
C. Silvio Berlusconi.

6. Per un lavoro che ti piace davvero saresti disposto anche a cambiare:
A. Città.
B. Look.
C. Partner.

7. Quale animale sceglieresti come stemma di famiglia?
A. Un pachiderma.
B. Un rapace.
C. Un felino.

8. Al colore verde assoceresti:
A. Miseria.
B. Militare.
C. Speranza.

9. Arrivati in manicomio, chi crederesti di essere?
A. Napoleone Bonaparte.
B.. Cristoforo Colombo.
C. Giuseppe Garibaldi.

10. La parola “straordinario” fa pensare:
A. Al film Avatar di James Cameron
B. Anche oggi si rimane in ufficio.
C. Al tesoro degli Aztechi.


Ad ogni risposta corrisponde un punteggio, fai il calcolo e vedi il risultato
                                               ABC
1.                                            2 1 3
2.                                            1 2 3
3.                                            1 3 2
4.                                            1 2 3
5.                                            2 1 3
6.                                            2 1 3
7.                                            1 3 2
8.                                            3 1 2
9.                                            1 3 2
10.                                           2 1 3


IL TUO PROFILO
Fino a 17 punti
"Si lavora per vivere non si vive per lavorare". Sei una persona molto concreta e con i
piedi per terra.
Non ti interessano i grandi guadagni se questo significa rinunciare alle tante piccole
comodità quotidiane a cui tieni. La prudenza è la tua dote principale, ma potrebbe
diventare anche il tuo limite al giorno d'oggi.


Da 18 a 24 punti
Sei ambizioso, ma non arrivista. Metti passione in qualsiasi attività svolgi.
Hai le carte in regola per lavorare in proprio: sai valutare con razionalità le situazioni che si
presentano di volta in volta senza compiere gesti impulsivi. Possiedi buone capacità
imprenditoriali.


Oltre 24 punti
"I soldi innanzitutto": il tuo amore per il dio denaro spiana davanti a te la strada per una
brillante carriera ma, allo stesso tempo, può pregiudicare notevolmente i rapporti con gli
altri.
Probabilmente raggiungerai i tuoi obiettivi, ma la spregiudicatezza e il cinismo, ti porterà a
escludere automaticamente i sentimenti e gli affetti dalla tua vita.

Cassazione: la banca risarcisce l'impresa entrata in crisi per il no al mutuo frazionato

Se l'impresa di costruzioni entra in crisi per colpa della banca che le ha negato il frazionamento del mutuo senza una valida ragione, l'istituto paga i danni.
Il frazionamento del mutuo, nel permettere di "scomporre l'importo a debito" in ragione delle distinte unità abitative ovvero proprietà è una modalità che agevola e rende fluido il mercato immobiliare incontrando il favore degli acquirenti da un lato e dell'impresa costruttrice dall'altro - sostanzialmente favorisce il mercato. 
Nel caso in sentenza, il mancato frazionamento del mutuo conduceva l'impresa costruttrice in situazione di oggettiva difficoltà, rendendole impossibile la vendita degli immobili e, conseguentemente, onorare i pagamenti nei tempi stabiliti. 
Tre le ragioni dietro le quali si era trincerata la ricorrente per respingere la richiesta della cliente: la morosità, il carattere facoltativo e non obbligatorio del frazionamento e la volontà di mantenere l'ipoteca indivisibile. Nessuna di queste ragioni per la Cassazione era valida per chiudere la porta in faccia all'azienda.

La morosità - spiegano i giudici della prima sezione - non era precedente alla decisione della banca ma successiva. E dipendeva proprio dal comportamento dell'istituto, che per ben tre anni aveva rifiutato di prevedere un debito pro quota, provocando la crisi dell'impresa che aveva avuto uno stallo nelle vendite degli appartamenti e un ritardo nei pagamenti.

Non è valido neppure l'argomento sull'assenza di un obbligo da parte della banca che aveva la mera facoltà di soddisfare la richiesta della ditta. La Cassazione spiega che dalla parte del cliente c'erano, se non un contratto, una prassi consolidata e il dovere di agire con correttezza e buona fede nei confronti del creditore, come affermato dalla relazione ministeriale al codice civile che richiama «nella sfera del creditore la considerazione dell'interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all'interesse del creditore». 
Un principio - sottolineano i giudici - che va inteso in senso oggettivo ed enuncia un dovere di solidarietà (articolo 2 della Costituzione) reciproca a prescindere dall'esistenza «di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge, sicché dalla violazione di tale regola di comportamento può discendere, anche di per sé un obbligo risarcibile». Anche il desiderio da parte della banca di avere un solo debitore mantenendo un'unica ipoteca non è un buon motivo per venire meno agli obblighi "istituzionali".

Inutilmente la banca, condannata a pagare circa 152mila euro oltre alle spese legali, contesta il criterio del cumulo di rivalutazione annuale e di interessi. La scelta si basa sulla natura del debito accertato che è di valore e non di valuta. Rientrano quindi nel danno da liquidare non solo la rivalutazione monetaria della somma corrispondente al valore perduto dal patrimonio del danneggiato all'epoca del fatto, ma anche gli interessi legali sul ritardato risarcimento. La tecnica di liquidazione adottata, diversa da quella prevista per gli interessi moratori (articolo 1224 del Codice civile), consente la rivalutazione progressiva delle somme.



martedì 29 ottobre 2013

La prova dell'iPhone 5S, il telefono che riconosce le impronte di Luca Salvioli.



Per la prima volta Apple rinnova il suo iPhone con due nuovi modelli: l'iPhone 5S e 5C (leggi la prova dell'iPhone 5C). L'iPhone 5S come da tradizione (è già successo con l'iPhone 3GS e il 4S) rappresenta un'evoluzione del modello precedente che lascia sostanzialmente invariato il design. Stesso peso, stesse dimensioni. Solo due novità: il tasto home rinnovato e due led al posto di uno per il flash della fotocamera.
Da fuori non si direbbe, ma il nuovo iPhone porta alcune innovazioni sostanziali. La prima riguarda il touch ID. Quando si blocca lo schermo, per rientrare nel telefono basta appoggiare il dito sul tasto home e in una frazione di secondo si riapre. Lo stesso vale per gli acquisti da iTunes, App store, iBooks e acquisti in app. Non serve inserire codici numerici e password. Impostare la funzione è semplice: il sistema chiede di appoggiare il dito (se ne possono "archiviare" fino a 5) sul tasto home più volte fino a registrare l'immagine delle nostre impronte digitali.



Funziona bene. Lo abbiamo provato per 4 giorni in maniera ossessiva. In condizioni normali il sistema riconosce le impronte anche se ruotiamo il dito di 360 gradi. Se abbiamo le mani bagnate, invece, fa molta più fatica. La stessa Apple segnala che con le dita sporche o con la sudorazione durante l'attività sportiva le performance sono peggiori, in quel caso si può ricorrere al tradizionale codice numerico. La possibilità di fare delle proprie dita una password è davvero comoda.


Per ottenere il risultato Apple ha inserito nel tasto home un cristallo di zaffiro tagliato a laser che funziona da lente, aumentando il dettaglio per il sensore sottostante. L'anello di acciaio che dà la forma circolare al pulsante, invece, rileva il dito e attiva il sensore. Apple, incalzata dalle crescenti preoccupazioni in tema di sicurezza, dice che l'impronta digitale non viene conservata da nessuna parte, soltanto una sua rappresentazione numerica. Se ne occupa il processore, nulla va nella nuvola di iCloud né viene messo a disposizione delle app. L'impronta digitale, inoltre, ha una possibilità di sovrapposizione parziale di 1:50mila contro 1:10mila della password.

Il codice numerico viene comunque chiesto a ogni avvio del telefono (pin), quando per 48 ore non viene sbloccato e ogni volta che si vuole entrare nelle impostazioni del touch ID. L'altra novità sostanziale riguarda il processore. Apple sostituisce l'A6 dell'iPhone 5 con l'A7 a 64 bit. La cpu e le performance grafiche hanno il doppio della velocità. Nella prova abbiamo notato che il device è un po' più rapido dell'iPhone 5 nel passare da un'app all'altra, ma non è una differenza di cui si sente il bisogno. Va però detto che al momento poche app beneficiano dei 64 bit. Una di queste (usata da Apple durante la presentazione come demo) è Infinity Blade 3: le performance grafiche sono notevoli e i videogiochi saranno probabilmente un importante campo di applicazione.


Si nota di più l'attività del coprocessore M7.

Apple lo ha inserito con la funzione di lavorare sui dati di movimento che arrivano dal giroscopio, l'accelerometro e il compasso dell'iPhone. In questo modo il processore principale è meno sollecitato e il risultato è una maggiore ottimizzazione della batteria, soprattutto quando si utilizzano app per fare attività sportiva. In generale, abbiamo notato che la batteria del telefono è migliorata e consente di arrivare a fine giornata anche con un uso intensivo (con l'iPhone 5 non succedeva). Il coprocessore inoltre è in grado di capire in base ai movimenti che rileva se siamo in macchina, a piedi e così via dando le informazioni, per esempio, alle mappe in modo da avere tempi di percorrenza più pertinenti oppure limitando la ricerca di reti wifi.


C'è poi il capitolo fotocamera. Resta da 8 megapixel, ma con pixel più grandi e un sensore più largo del 15%. Apple dice che il risultato è una capacità migliorata del 30% di raccogliere la luminosità. In effetti le foto sono migliori, specie in condizioni di luce scarsa. C'è poi un doppio led di colore diverso nel flash, in modo da riprodurre in maniera più naturale il colore della pelle nei ritratti. A questo si aggiunge la possibilità di registrare i video in slow motion, lo zoom nei video e lo scatto multiplo nelle foto con la possibilità di scegliere il migliore. Complessivamente – se si aggiungono i nuovi filtri di iOS 7 – la fotocamera consente di fare di più e meglio. Nell'ultimo anno Nokia Lumia 1020, Htc One e Samsung Galaxy S4 si sono inventati di tutto per ottenere foto di qualità con funzioni che consentono di personalizzare il risultato divertendosi. Apple recupera ma quello delle foto non è certamente il terreno in cui si distingue.


È il risultato complessivo a funzionare.

Per chi ha un iPhone 5 gli unici motivi per un upgrade così oneroso (il telefono costa 729 euro) sono le impronte digitali e la batteria.

Scelta da appassionati.

Rispetto all'iPhone 4S il salto invece c'è e consente di sfruttare meglio iOS 7. Quanto alla concorrenza, che nell'ultimo anno ha fatto un salto di qualità, Apple resta in vantaggio sul design, la massima integrazione tra hardware e software e l'introduzione di elementi innovativi semplici da usare con la touch ID. Resta il benchmark. In controtendenza, Cupertino è fedele a un display da 4 pollici e quindi abbastanza piccolo. Soluzione comoda con un vantaggio di design, ma sacrificata per chi vuole sfruttare uno schermo maggiore.

Mattoni «instabili» di Mauro Meazza



La casa, per definizione, è un immobile e ha l'ambizione di durare a lungo. Le norme che la riguardano, invece, sono mobilissime e hanno per lo più vita breve. E, soprattutto, nel loro stratificarsi e mutare, raramente danno l'impressione di seguire un percorso coerente. Tanto da far sorgere un dubbio: qual è realmente - se esiste - la strategia italiana in materia di immobili? Le leggi agevolano oppure scoraggiano la costruzione, l'acquisto, la manutenzione, la vendita degli immobili?
Partiamo dalle ultime novità: il Governo, segnaliamo oggi, lavora a un nuovo decreto casa che dovrà intervenire - a quel che ne sappiamo - sull'edilizia popolare e sugli affitti. Ambiti sicuramente meritevoli di correzioni urgenti, che però allungano ancora la lista di (almeno) due anni passati burrascosamente.
La tassazione sulle locazioni, tanto per dire, è stata appena rivista con un ribasso della «cedolare affitti», che ha ridotto la percentuale di prelievo per cercare di aumentare la platea (finora ridotta) dei suoi estimatori. Gli interventi per agevolare ristrutturazioni e manutenzioni hanno percentuali variabili dal 36% al 65%, a seconda dell'oggetto dell'intervento, del periodo in cui viene effettuato il pagamento dei lavori, del materiale impiegato. E negli ultimi due anni queste percentuali sono state ritoccate, prorogate, alzate e abbassate con fantasia paragonabile a quella di uno stilista. Mentre le Regioni vanno avanti con intento consono ma in ordine sparso sui piani casa.
Cinque Regioni, tra le 11 dove scadevano le normative sugli ampliamenti, hanno deciso di prorogare il termine mentre per le altre l'orizzonte è già a tutto il 2014. E sui piani casa regionali si avanza così, per proroghe, già dal 2009.
Dell'Imu preferiremmo non dire, perché sicuramente detiene un record: tra il 2012 e il 2013, non è mai riuscita a mantenere le stesse regole tra un versamento e il successivo. Due scadenze o tre scadenze, sulla prima casa e poi non più, con aliquota statale aggiunta oppure solo con quota comunale (con percentuale a sorpresa, da decifrare sui siti dei Comuni a ridosso del termine di pagamento). Per le prime case, ora, dovrebbe finalmente uscire di scena (si attende – senza ironia – una modifica normativa). Ma per chi continua a pagare, già la legge di stabilità prepara regole rinnovate. E chi esce dall'Imu troverà il «Trise», combinazione tutta da scoprire di prelievi su rifiuti e servizi, con rincari quasi certi.
Anche fuori dal territorio fiscale si trovano esempi di irrequietezza regolamentare. È arrivato l'Ace, inteso come attestato di certificazione energetica, con nuovi obblighi fin dagli annunci di vendita o affitto, oltre che nei contratti. Ma già c'è l'«Ape» (attestato di prestazione energetica) che ha sostituito l'«Ace» dopo 18 mesi.
Tanto affaticarsi non sembra aver sortito grandi effetti, anzi: nel primo semestre 2013 le compravendite nel residenziale sono state la metà di quelle del 2004 (200mila contro quasi 400mila). Non è tutta colpa della crisi: nel 2012 lo stesso dato era in calo del 25% rispetto al 2011, e quest'anno c'è stato un nuovo ribasso del 9%. E gli abbonati al «Quotidiano della Casa» e i lettori di «Casa24» conoscono bene la condizione difficile dell'edilizia tutta.
Ma da ultimo sappiate che, qualunque scenario immaginiate per il 2014, le cose sono comunque destinate a cambiare con la riforma del Catasto. Da anni in rampa di lancio, ora attende la delega per la riforma fiscale. Oppure sta solo aspettando, per un debutto sereno, un trimestre di quiete.

Lo spread degli stipendi: un neolaureato in Germania guadagna 40mila euro, in Italia appena 25mila (lordi) di Alberto Magnani



Primo contratto in Francia: 35mila euro. Primo contratto in Germania: 40mila euro. E in Italia? Lo scarto si allarga: addirittura 15mila euro. In meno, però. Secondo l'Osservatorio Merger 2013 sul costo del lavoro, i neolaureati assunti nel nostro paese viaggiano su un retribuzione annua lorda di 25mila euro. Se si trasferissero a Berlino, o nella filiale parigina di una grossa multinazionale, ne incasserebbero almeno 10mila in più.

L'indagine è stata redatta su un campione di 340 aziende italiane o stanziate in Italia, con fatturato medio sopra ai 128 milioni di euro e organico di circa 260 dipendenti. Avevamo già scritto dello sbalzo tra competenze ricercatissime e stipendi sotto la media Ue, citando il "caso scuola" degli ingegneri: un disegnatore meccanico con un anno e mezzo di esperienza in curriculum può ambire a un massimo di 24mila euro annui in Italia. Volando a Londra e tenendo conto del cambio in sterline, l'asticella si alzerebbe ad «almeno» 41mila. Senza dimenticare benefit e scatti di carriera, con il doppio criterio di competenze specifiche e anni di esperienza: più competenze hai, maggiore è il premio salariale, più anni di produzione accumuli, maggiore è il fisso netto.
I numeri sono confermati dalla ricerca. Che avanza una proposta: piani per intercettare i talenti in fuga, inserendoli in schemi di formazione internazionale. Il ragionamento è lineare, soprattutto per colossi con una fatturazione sopra i 200 milioni: «I neolaureati italiani costano poco rispetto a francesi, tedeschi e inglesi - spiega Elena Oriani, direttrice di Mercer Italia -. Questa è un'opportunità per le multinazionali del nostro paese, che potrebbero reclutare giovani italiani e inserirli in un sistema di rotazione "cross-countries", accrescendo così la cultura internazionale dell'azienda, prima che il giovane italiano si rivolga autonoamente all'estero per avviare la propria carriera».

Altri tasti dolenti: bonus erogati e "spread" tra sessi nella retribuzione. Per i manager italiani, i bonus erogati nel 2013 sono scesi. Con sbalzi, in negativo, fino al 20%: incentivi alleggeriti di 20mila euro, e più, rispetto al target prefissato. E la lavoratrici? Secondo la ricerca, le donne percepiscono uno stipendio dell'8% più basso rispetto ai colleghi uomini nelle corrispondenti fasce di impiego direttivo. La forbice si restringe nelle posizione di direzione. O meglio, si restringerebbe: scalando le gerarchie aziendali fino alla posizione di direttore generale o direttore di prima linea, le "quota rosa" aziendali tendono allo zero.

INPS - Incentivi per l’assunzione dei lavoratori iscritti nelle liste di mobilità ai sensi dell'articolo 4, comma 1, del decreto legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236 e successive modifiche ed integrazioni. Chiarimenti.



A seguito dei chiarimenti forniti dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, la circolare n. 150 del 25 ottobre 2013 fornisce chiarimenti sugli incentivi per l'assunzione dei lavoratori iscritti nelle liste di mobilità. Nella circolare si precisa che, dal momento che per il 2013 non sono state prorogate le norme che prevedono l'iscrizione nelle liste di mobilità dei lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo né gli incentivi inerenti al loro reimpiego (cosiddetta piccola mobilità), non è possibile riconoscere le agevolazioni per le assunzioni effettuate nel 2013 di lavoratori licenziati prima di tale anno; non è possibile, inoltre, riconoscere le agevolazioni per le proroghe e le trasformazioni a tempo indeterminato, effettuate nel 2013, di rapporti agevolati instaurati prima dello stesso anno; infine, in via cautelare, deve ritenersi anticipata al 31 dicembre 2012 la scadenza dei benefici connessi a rapporti agevolati, instaurati prima del 2013 con lavoratori iscritti nelle liste di mobilità a seguito di licenziamento individuale.

Società tra professionisti: inquadramento fiscale e previdenziale




L’IRDCEC, con la circolare n. 34/IR del 19 settembre 2013, si è soffermato ad analizzare il regime fiscale e previdenziale delle società tra professionisti dopo che ne aveva esaminato i profili civilistici (circolare 32/IR del 12 luglio 203 e circolare 33/IR del 31 luglio 2013). L’art. 10 della legge 12 novembre 2011, n. 183 disciplina la St.p. non indicando però il regime fiscale e previdenziale applicabile, rendendo difficoltosa l’opera di ricostruzione di detti profili.

Da un punto di vista fiscale, l’individuazione della natura del reddito prodotto dipende da due elementi.

Soggettivo, cioè la veste giuridica del soggetto. Il comma 3 del citato art. 10 stabilisce che “È consentita la costituzione di società per l'esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico secondo i modelli societari regolati dai titoli V e VI del libro V del codice civile”. Quindi se la S.t.p. può assumere la veste giuridica di s.n.c., s.a.s., s.r.l., s.p.a., s.a.p.a. (titolo V) e società cooperativa (titolo VI) sarà necessario richiamare le norme fiscali che definiscono la natura del reddito prodotto da queste società e il relativo trattamento in capo ai soci. Per quanto riguarda le s.n.c. e le s.a.s. il comma 3 dell’articolo 6 TUIR contiene una presunzione assoluta: i redditi prodotti da tali società “da qualsiasi fonte provengano e quale che sia l'oggetto sociale, sono considerati redditi di impresa”. Ed analogamente per quanto riguarda le società di capitali, nel caso di specie s.r.l, s.p.a. e s.a.p.a., l’art. 81 TUIR contiene una presunzione assoluta: il reddito prodotto da tali società “da qualsiasi fonte provenga, è considerato reddito d'impresa”.

Oggettivo, il tipo di attività svolta. Il comma 3 del citato art. 10 stabilisce che “È consentita la costituzione di società per l'esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico…”. L’art. 53 TUIR stabilisce che “Sono redditi di lavoro autonomo quelli che derivano dall'esercizio di arti e professioni”.

Quindi l’analisi dei due elementi porta a due differenti conclusioni: se si riconosce la prevalenza dell’elemento soggettivo il reddito prodotto dalla s.t.p. è reddito d’impresa mentre se si da rilevanza al presupposto oggettivo la s.t.p. produce reddito da lavoro autonomo.

Nel 2006 un analogo problema si pose in relazione alle società di ingegneria che ai sensi dell’art. 90, c.2, lett. b, D.lgs 163/2006, sono le s.p.a., le s.a.p.a., le s.r.l. e le soc. coop. che eseguono studi di fattibilità, ricerche, consulenze, progettazioni o direzioni di lavori, valutazioni di congruità tecnico-economica o studi di impatto ambientale. Ai fini della qualificazione del reddito prodotto da dette società l’Agenzia delle Entrate ritenne che fosse determinante il presupposto soggettivo, quindi il solo fatto di essere realizzato da un soggetto costituito sotto forma di società di capitali consentiva di annoverare tale reddito tra i redditi d’impresa.

La discrasia tra la natura commerciale del tipo societario adottato e natura professionale dell’attività svolta emerse anche con riferimento alle società tra avvocati di cui agli artt. 16 ss D.lgs. 96/2001. La norma appena richiamata stabilisce che ove non disposto diversamente a tali società si applica la disciplina delle s.n.c. non implicandone però la qualificazione di società commerciali. Però l’Agenzia delle Entrate, sottolineando il carattere professionale di tali società, concluse che tale rinvio operasse solo ai fini civilistici in quanto fiscalmente il reddito da esse prodotto è qualificabile come reddito da lavoro autonomo con la conseguente applicazione della disciplina dettate per le associazioni senza personalità giuridica costituite tra persone fisiche per l’esercizio in comune di arti e professioni di cui all’art. 5, c. 3, lett. c, TUIR.

Tuttavia le s.t.p. non sono assimilabili alle società di ingegneria in quanto l’esercizio dell’attività professionale deve avvenire in via esclusiva e perché possono essere costituite anche sotto forma di società di persone. Mentre le considerazioni svolte per le società di avvocati sono riferibili alle S.t.p. tanto che il 23 luglio 2013 è stato presentato al Senato un disegno di legge (art. 27, c. 4) che dispone l’applicazione a dette società del regime fiscale previsto per le associazioni tra professionisti, con la conseguente qualificazione del reddito prodotto come reddito di lavoro autonomo e l’attribuzione dello stesso per trasparenza ai soci. Il chiarimento normativo risulta di particolare importanza anche per l’IRAP, infatti la giurisprudenza ha ormai da tempo riconosciuto la possibilità, in capo alle associazioni tra professionisti, di poter dimostrare, in concreto, l’assenza di un’autonoma organizzazione.

L’individuazione della natura fiscale del reddito prodotto dalle S.t.p. ha una rilevanza fondamentale per l’inquadramento previdenziale dei soci, generando due ordini di problemi.

Per quanto riguarda il contributo soggettivo, la Cassa di previdenza dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei periti commerciali stabilisce che esso si applica sul reddito professionale netto prodotto nell’anno precedente da ciascun socio professionista. E per reddito professionale si intende il reddito da lavoro autonomo come disciplinato dall’art. 53, comma 1, TUIR. Quindi se il disegno di legge accogliesse la prospettiva della qualificazione del reddito prodotto dalle s.t.p. come reddito di lavoro autonomo i soci dovrebbero versare tale contributo; se, invece, si ritenesse di assimilare tale reddito a quello d’impresa nulla sarà dovuto dai soci.

Per quanto riguarda il contributo integrativo, la Cassa ha stabilito che esso è dovuto da tutti coloro che sono iscritti in albi o registri che esercitano attività professionale. L’art. 10 della L. 183/2011, che ha introdotto le s.t.p., impone alle stesse l’iscrizione in un’apposita sezione degli albi o dei registri con la conseguenza che è la società ad essere sottoposta alla contribuzione integrativa e non i singoli soci. Inoltre tale contributo versato dalla s.t.p. può essere utilizzato dai soci professionisti per incrementare i montanti individuali di coloro che adottano il sistema contributivo.

Pressione fiscale: le 24 tasse che affossano le PMI


Tasse, le PMI rischiano di non sopravvivere alla pressione fiscale di fine anno e dal 2014 la situazione peggiorerà: l'analisi della Cgia Mestre.


La pressione fiscale continua ad affliggere le imprese italiane: in due mesi 24 tasse, ovvero una ogni due giorni tra novembre e dicembre, per un gettito atteso di 76 miliardi di euro. A farne maggiormente le spese sono le piccole e medie imprese e dal 2014 le cose peggioreranno ulteriormente, per effetto dell’aumento IVA e delle misure fiscali introdotte dalla Legge di Stabilità. Le imprese, per il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi, sono «sfiancate dalla crisi e sempre più a corto di liquidità, c’è il pericolo che molte piccole e micro imprese non riescano a superare questo vero e proprio stress test fiscale».

L’acconto IRES, l’imposta sul reddito delle società di capitali, costerà alle imprese 16,9 miliardi di euro; l’IRAP, l’imposta regionale sulle attività produttive, 11,6 miliardi di euro; la seconda rata IMU 4,4 miliardi di euro; gli acconti IRPEF 4,8 miliardi di euro. A fine anno ci sarà poi la nuova TARES, il tributo ambientale di cui i Comuni devono ancora definire il numero di rateazioni. Nel 2014 poi le tasse aumenteranno ancora, in particolare per i pensionati i quali subiranno un aggravio fiscale tra i 74 e i 144 euro, secondo le ultime stime della Cgia Mestre, per le famiglie con redditi medio alti il maggior prelievo si aggirerà tra i 70 e i 357 euro, mentre per quelle con redditi bassi si potrà raggiungere la soglia dei141 euro. A parlare della necessità di ridurre il peso fiscale sulle imprese anche il Commissario UE José Manuel Barroso: «la crisi economica ha evidenziato la necessità di liberare le imprese dagli ostacoli superflui per stimolare la crescita e l’occupazione. Entro la fine del 2014 la Commissione avrà effettuato quasi 50 valutazioni degli oneri normativi esistenti in vari settori, concentrandosi su ambiente, occupazione e industria. Le leggi inutili indeboliscono le leggi necessarie».

Coop professionali: un protocollo per partire


Firmato accordo tra Ungdcec e Legacoop per sensibilizzazione e costituzione coop. Professionali.
Il protocollo - È stato siglato ieri un protocollo d’intesa tra Legacoop e Ungdcec, sottoscritto dai rispettivi presidenti Giuliano Poletti ed Eleonora Di Vona. Il protocollo, nel dettaglio, si pone come obiettivo l’ampliamento delle attività svolte da Legacoop che sta promuovendo la costituzione di cooperative tra professionisti, ciò ai sensi della Legge n. 183/2011 che ha stabilito che le attività professionali possono essere svolte anche in forma cooperativa. L’Unione nazionale dei giovani dottori commercialisti e degli esperti contabili, in una nota diffusa a margine della stipula del protocollo, ha sottolineato come questo intervento congiunto intenda dare slancio a una cooperazione volta alla diffusione del modello cooperativo tra i giovani iscritti all’Albo dei commercialisti ed esperti contabili, illustrando in maniera chiara ed esaustiva il quadro giuridico delle società cooperative, nonché tutte quelle esperienze imprenditoriali che già sono state avviate proprio nell’ambito delle libere professioni.




L’impegno dell’Unione - Dal canto suo, la leader della sigla sindacale alla quale fanno riferimento i giovani dottori commercialisti ed esperti contabili, ha dichiarato che “non vi è dubbio che per le piccole realtà avviate da giovani che decidono di mettere insieme le loro competenze professionali la forma cooperativa sia particolarmente interessante, essendo ormai necessario promuovere le aggregazioni nel campo delle professioni per attivare con più efficacia le specializzazione ed offrire sul mercato un servizio professionale più complesso e strutturato. La forma cooperativa, peraltro, meglio di altre forme societarie, visto che nelle cooperative il socio di capitale è necessariamente un mero investitore, garantisce l’assoluta indipendenza dei professionisti. Oltre a questo l’accordo con Legacoop ha, in questo difficile momento dell’economia, anche un valore strategico più ampio, nel senso di una sempre maggiore collaborazione nell’ambito del variegato mondo del lavoro autonomo, poiché riteniamo che oggi ancor più che in passato, anche a livello politico, imprese e professionisti siano portatori di interessi convergenti. Concludo auspicando una collaborazione tecnica, che dovrà diventare una proposta di modifica legislativa, che possa portare al perfezionamento di un modello di società cooperativa di professionisti che tenga conto delle peculiarità dell’attività professionale, al fine di consentire una piena operatività, nonché il pieno godimento dei vantaggi, anche fiscali, di cui le cooperative godono, cosa a nostro avviso necessaria anche per gli altri modelli societari”.

Le vie da percorrere – Chiari sono dunque i propositi che sia l’Unione dei giovani commercialisti sia la Legacoop si sono posti in maniera congiunta. Come conseguirli, quindi? Ebbene, le strategie sono state altresì delineate in occasione della stipula dell’accordo. I due organismi hanno intenzione di promuovere dei modelli di aggregazione che abbiano diverse funzioni, le quali a loro volta confluiranno nell’unico, già esposto, traguardo finale. In sostanza, questo modelli, spiega l’Unione, “oltre a favorire le collaborazioni necessarie per una migliore competizione nel mercato di riferimento, sviluppino processi di specializzazione dei professionisti e di diversificazione dell’offerta professionale, anche attraverso il coinvolgimento di professioni diverse da quelle rappresentate dall’Unione Nazionale Giovani Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili”. Oltre a ciò, i due organismi metteranno a disposizione il materiale informativo e forniranno servizi di sostegno ai fini della costituzione di società cooperative tra professionisti su questioni legate, ad esempio, agli atti costitutivi, agli statuti e ai regolamenti tipo. In riferimento ai termini del protocollo d’intesa è intervenuto anche il presidente di Legacoop, Giuliano Poletti, dichiarando che con il presente accordo “confermiamo la nostra attenzione ai giovani professionisti, ai quali proponiamo l’opportunità di scegliere la società cooperativa per svolgere la loro attività in forma societaria. Crediamo, infatti, che la cooperativa sia uno dei modelli più adeguati a questo scopo, per le sue peculiarità come il voto pro-capite disgiunto dal minore o maggiore possesso di azioni sociali, l’impegno personale del socio, la modesta rilevanza dei soci di capitale nelle scelte gestionali, il perseguimento dello scopo mutualistico: la persona, la soddisfazione dei suoi bisogni e delle sue aspettative sono l’obiettivo principale della cooperativa”.

Società tra professionisti: ancora news


Approvato ed emanato il regolamento attuativo in materia di società per l’esercizio di attività professionali regolamentate nel settore ordinistico, emanato ai sensi dell’art. 10, comma 10, della legge 12 novembre 2011, n. 183.

I professionisti potranno avviare tutta la procedura per costituire una Società tre professionisti, omologarne lo statuto presso un notaio e fare l’apposita comunicazione al registro delle imprese, prima, e all’ordine di appartenenza oppure a quello dell’attività prevalente (nel caso si società interdisciplinari), dopo. Questa nuova modalità di esercizio della professione, tuttavia, parte fra mille dubbi per quanto riguarda il regime fiscale e previdenziale da attuare. La normativa citata (cd. legge di stabilità per il 2012), ha superare l’annoso contrasto legislativo circa la costituzione di società tra professionisti secondo i consueti modelli codicistici. In precedenza la possibilità di esercitare in forma societaria le professioni intellettuali per il cui esercizio è necessaria l’iscrizione in appositi albi ed elenchi era stata oggetto di ampio dibattito. Infatti la legge 23 novembre 1939 n. 1815, se da un lato consentiva l’esercizio associato delle professioni sottoforma di «studio professionale associato», dall’altro vietava di «costituire, esercire o dirigere, sotto qualsiasi forma diversa da quella di cui al precedente articolo, società, istituti, uffici, agenzie od enti, i quali abbiano lo scopo di dare, anche gratuitamente, ai propri consociati od ai terzi, prestazioni di assistenza o consulenza in materia tecnica, legale, commerciale, amministrativa, contabile o tributaria» (articolo 2).

Al fine di superare le limitazioni della legge 1815/1939 interviene la norma di cui all’articolo 10 della legge n. 183/2011 la quale stabilisce che  «prendere le mosse dalla considerazione per cui le professioni, sia a livello comunitario che internazionale, vengono ascritte fra le attività produttrici di servizi, e quindi, sia pure in una prospettiva allargata, vengono inquadrate fra quelle attività economiche e produttrici di ricchezza rispetto alle quali si pongono le esigenze di unificazione dei mercati e di abbattimento delle barriere protettive frapposte dalle legislazioni nazionali». E indubbiamente lo svolgimento della professione intellettuale in forma di impresa ha assunto, alla luce dell’ormai consolidato orientamento europeo, una nuova luce. Se, infatti, l’ordinamento italiano sembra escludere la natura imprenditoriale della libera professione, in ambito europeo non è controvertibile che la nozione di impresa abbraccia qualsiasi entità che eserciti un’attività economica, a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalità di finanziamento, ivi inclusa, pertanto, la libera professione. Ne segue che anche in tale categoria economica si afferma la concorrenza la quale richiede, a sua volta, una crescente diffusione dei mercati di sbocco nonché garanzie di tempestività e continuatività delle prestazioni. Requisiti, questi, che «presuppongono una struttura organizzativa e una dotazione di mezzi di cui difficilmente il professionista individuale può disporre».

L’applicabilità delle regole della concorrenza al mercato professionale implica l’assoggettamento di questi ai divieti imposti dall’articolo 101 Tfeu a tutela della libera concorrenza tra imprese. Ma la stessa norma ammette eccezionali limitazioni dettate dalla normativa interna laddove intese a favorire la distribuzione o la produzione dei prodotti/servizi professionali. In tale contesto si pongono le considerazioni della Commissione europea espresse nella Relazione sulla concorrenza dei servizi professionali del 2004, particolarmente quelle contenute nel paragrafo 4.5 recante «Regolamentazioni inerenti alla struttura aziendale». Del resto gli stessi principi inerenti alla libertà di circolazione dei servizi e il diritto di stabilimento legittimano l’esercizio delle professioni in forma collettiva e di conseguenza obbligano ogni Stato membro a porre in essere ogni misura atta a garantire ai fornitori dei servizi e ai fruitori degli stessi un trattamento uniforme e non meno favorevole.

In tale contesto normativo, interno ed internazionale, il regolamento in commento è intervenuto a dettare la disciplina attuativa di determinati aspetti di dettaglio delle nuove società professionali, sulla scorta delle tre «materie» richiamate dal citato articolo 10, comma 10, della legge n. 183/2011. In particolare:

1) «criteri e modalità affinché l’esecuzione dell’incarico professionale conferito alla società sia eseguito solo dai soci in possesso dei requisiti per l’esercizio della prestazione professionale richiesta; la designazione del socio professionista sia compiuta dall’utente e, in mancanza di tale designazione, il nominativo debba essere preventivamente comunicato per iscritto all’utente» (comma 4, lettera c) ;

2) «la partecipazione ad una società è incompatibile con la partecipazione ad altra società tra professionisti» (comma 6);

3) «i professionisti soci sono tenuti all’osservanza del codice deontologico del proprio ordine, così come la società è soggetta al regime disciplinare dell’ordine al quale risulti iscritta. Il socio professionista può opporre agli altri soci il segreto concernente le attività professionali a lui affidate». (comma 7).

I contenuti del regolamento

L’articolo 1 contiene la definizione di «società tra professionisti» e «società professionale»: sono tali quelle società, costituite secondo i modelli societari regolati dai titoli V e VI del libro V del codice civile (quindi modelli personalistici, capitalistici e cooperativi), soggette alla disciplina di cui all’articolo 10, commi da 3 a 11, della legge n. 183/2011, ed aventi ad oggetto l’esercizio di una o più attività professionali per le quali sia prevista l’iscrizione in appositi albi o elenchi regolamentati nel sistema ordinistico.

La «società multidisciplinare» è invece quella costituita per l’esercizio di più attività professionali ai sensi dell’articolo 10, comma 8, della legge di stabilità 2012.

Il regolamento conferma che restano salve le associazioni professionali, nonché i diversi modelli societari già vigenti alla data di entrata in vigore della legge n. 183. La norma (art. 10, comma 11, legge n. 183/2011) fa quindi salvo lo schema dello studio professionale associato, anche a seguito dell’abrogazione della legge 23 novembre 1939, n. 1815, e successive modificazioni. Resta inoltre immutata la disciplina delle società di ingegneria contenuta nell’articolo 90, comma 2, lettera b), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, la disciplina delle società di revisione legale, di cui al Dlgs 27 gennaio 2010 n. 39, nonché le «associazioni di notari» di cui all’articolo 82 della legge 16 febbraio 1913, n. 89 (Ordinamento notarile) che rappresentano, rispetto alla legge n. 183, lex specialis .

La qualifica di società tra professionisti viene assunta, ai sensi del comma 4 dell’articolo 10 della legge n. 183obbligo informativo,  le società il cui atto costitutivo preveda, tra l’altro, che «la designazione del socio professionista sia compiuta dall’utente e, in mancanza di tale designazione, il nominativo debba essere previamente comunicato per iscritto all’utente». Per rendere operativa tale disposizione il regolamento prevede che la società professionale, al momento del primo contatto con il cliente, debba fornirgli, anche tramite il socio professionista, informazioni relativamente:

a) al suo diritto di chiedere che l’esecuzione dell’incarico conferito alla società sia affidata ad uno o più professionisti da lui scelti e quindi consegnare al cliente l’elenco scritto dei singoli soci professionisti, con l’indicazione dei titoli o delle qualifiche professionali di ciascuno di essi, nonché l’elenco dei soci con finalità d’investimento;

b) alla possibilità che l’incarico professionale conferito alla società sia eseguito da ciascun socio in possesso dei requisiti per l’esercizio dell’attività professionale;

c) all’esistenza di situazioni di conflitto d’interesse tra cliente e società, che siano anche determinate dalla presenza di soci con finalità d’investimento.

L’adempimento di tali obblighi informativi, e l’eventuale indicazione da parte del cliente del professionista prescelto, deve risultare da atto scritto.

Da una prima lettura della normativa regolamentare sembrerebbe quindi confermata quella dottrina secondo cui la previsione contenuta nella lettera a), del comma 4, dell’articolo 10, della legge n. 183 («l’esercizio in via esclusiva dell’attività professionale da parte dei soci») si leggerebbe nel senso che il rapporto d’opera si instaura fra società e cliente. Questi può eventualmente scegliere il professionista ma, in mancanza, la scelta viene effettuata dalla società con l’ovvio corollario che, in caso di recesso o impossibilità ad adempiere da parte del professionista incaricato, la società dovrà comunque garantire l’assolvimento dell’incarico (salva espressa opposizione del cliente). Lettura peraltro compatibile con il dato costituzionale di cui all’articolo 33, comma 5, che impone l’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio delle professioni regolamentate: compatibilità basata sulla distinzione concettuale fra esercizio della professione ed esecuzione della prestazione professionale. Il primo può essere svolto in forma individuale e societaria; la seconda può essere svolta esclusivamente dalla persona fisica del professionista abilitato. Su tale linea, avverte la relazione illustrativa, si pone l’articolo 3 del regolamento che, accogliendo le osservazioni del Consiglio di Stato, espressamente rileva che gli obblighi informativi in capo alla società siano funzionali alla garanzia che tutte le prestazioni siano eseguite da soci in possesso dei requisiti richiesti. Peraltro il principio della personalità dell’esecuzione della prestazione professionale è rimarcato dall’articolo 5 del medesimo regolamento, secondo cui nell’esecuzione dell’incarico il socio professionista può avvalersi, sotto la propria direzione e responsabilità, della collaborazione di ausiliari e, solo limitatamente a particolari attività caratterizzate da sopravvenute esigenze non prevedibili, di sostituti. Anche i nominativi di sostituti ed ausiliari devono essere comunicati al cliente secondo le regole generali e questi ha la facoltà, entro tre giorni dalla comunicazione, di esprimere per iscritto il proprio dissenso.

In tema di incompatibilità, stabilisce la norma primaria che «La partecipazione ad una società è incompatibile con la partecipazione ad altra società tra professionisti» (art. 10, comma 6, legge n. 183/2011) e la norma regolamentare (articolo 6) chiarisce che l’incompatibilità della partecipazione contemporanea a più società professionali si determina anche nel caso della società multidisciplinare e si applica per tutta la durata dell’iscrizione della società all’ordine di appartenenza. Ma non è affatto chiaro (e la relazione illustrativa allo schema di regolamento non manca di rilevarlo) se tale incompatibilità sia riferita a tutti i soci (inclusi quelli di capitale) o ai soli professionisti. Peraltro il socio di capitale può far parte di una società professionale solo quando sia in possesso dei requisiti di onorabilità previsti per l’iscrizione all’albo professionale cui la società è iscritta; non abbia riportato condanne definitive per una pena pari o superiore a due anni di reclusione per la commissione di un reato non colposo e salvo che non sia intervenuta riabilitazione; non sia stato cancellato da un albo professionale per motivi disciplinari. Per i soci di capitale requisiti di onorabilità sono rappresentati della mancata sottoposizione a misure di prevenzione personali o reali applicate anche in primo grado.

Una vera e propria lacuna della legge 183/2011 è la mancata disciplina delle conseguenze che il verificarsi della situazione di incompatibilità comporta, nonché delle modalità procedurali per la rilevazione di tali incompatibilità (l’accertamento potrebbe essere demandato al notaio rogante in sede di costituzione o modifica dell’atto costitutivo). Pertanto il regolamento si limita laconicamente a prevedere (articolo 6, comma 6) che il mancato rilievo o la mancata rimozione di una situazione di incompatibilità integrano illecito disciplinare per la società tra professionisti e per il singolo professionista.

L’articolo 8 del regolamento prevede l‘obbligo di iscrizione della società in una sezione speciale degli albi o dei registri tenuti presso l’ordine o il collegio professionale di appartenenza dei soci professionisti. La società multidisciplinare è invece iscritta presso l’albo o il registro dell’ordine o collegio professionale relativo all’attività individuata come prevalente nello statuto o nell’atto costitutivo. Nell’eventualità che non sia individuata tale attività prevalente resta aperta l’opzione di una plurima iscrizione con conseguenti regimi concorrenti. Segue la descrizione del procedimento di iscrizione con l’individuazione del consiglio dell’ordine o collegio professionale competenti, nonché le modalità di adozione del provvedimento di diniego di iscrizione. Prevista espressamente la cancellazione dall’albo per difetto sopravvenuto di un requisito previsto dalla legge o dal medesimo regolamento, nel rispetto del principio del contraddittorio, qualora la società non abbia provveduto alla regolarizzazione entro il termine perentorio di tre mesi dal momento in cui si è verificata la situazione di irregolarità (fermo restando il maggior termine previsto dall’articolo 10, comma 4, lettera b), della legge n. 183/2011 circa il ristabilimento della prevalenza dei soci professionisti che deve comunque essere tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci). Infine l’articolo 12, chiarisce che il professionista socio rimane vincolato e risponde disciplinarmente al proprio codice deontologico. Altresì la società è responsabile secondo le regole deontologiche dell’ordine nel cui albo è iscritta. La responsabilità disciplinare del socio concorre con quella della società nel solo caso di violazione deontologica ricollegabile a direttive impartite dalla società medesima.

L’assoggettabilità fiscale e previdenziale dei redditi prodotti dalle società tra professionisti

È opportuno rilevare che la norma primaria di riferimento (la legge n. 183/2011), si è incaricata principalmente di disciplinare gli aspetti civilistici delle società tra professionisti, tralasciandone gli aspetti fiscali e previdenziali. Allo stato attuale della normativa, il regime fiscale e previdenziale applicabile sarà pertanto desumibile dalla forma societaria adottata (ad esempio per le società di capitali il relativo reddito sarà considerato reddito di impresa). La circostanza della necessaria riconducibilità del reddito della società tra professionisti al reddito professionale a cagione dell’attività esercitata di natura esclusivamente professionale, pure legittimamente invocata dal Comitato unitario professioni (circ. 2 gennaio 2012), non sembra tenere pienamente conto che siffatte società introducono un elemento al loro interno «del tutto nuovo e di grande impatto, i soci investitori, che professionisti non sono». Ciò anche a voler considerare il ridimensionamento del ruolo dei soci non professionisti operato dalle modifiche introdotte in sede di conversione del decreto legge n. 1/2012.




A tale riguardo è utile ricordare che la legge 31 dicembre 2012, n. 247, recante «Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense», nel definire la delega al Governo per disciplinare le nuove società tra avvocati, prevede espressamente, tra i principi della delega, la qualificazione dei redditi prodotti dalle predette società quali redditi di lavoro autonomo anche ai fini previdenziali, ai sensi del capo V del titolo I del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni. Le società tra avvocati, tuttavia, pur se potranno essere costituite esclusivamente in forma di società di persone, società di capitali o società cooperative, saranno composte soltanto da soci avvocati iscritti all’albo. La tesi della riconducibilità del reddito prodotto dalle società tra professionisti di cui all’articolo 10 della legge n. 183/2011 alla categoria del reddito professionale, pertanto, dovrà essere suffragata da un chiaro ed esplicito intervento legislativo, non integrabile in un mero intervento regolamentare, circostanza della quale è ben consapevole la stessa relazione illustrativa al regolamento (ed analoga previsione si auspica circa l’esclusione delle novelle società dal fallimento e dalle procedure concorsuali diverse da quelle di composizione delle crisi da sovraindebitamento). Si legge nella medesima, infatti, che «restano estranei all’oggetto del provvedimento illustrato, per assenza di riferimenti nella normativa primaria, i profili fiscale e previdenziale delle società professionali, aspetti che trovano adeguata regolamentazione legislativa per talune professioni (ingegneri, architetti) e che, quanto agli avvocati, sono stati di recente esplicitamente trattati dalla citata riforma ordinamentale». In proposito vale la pena ricordare che, per quanto concerne la società tra professionisti (avvocati) introdotta con Dlgs n. 96/2001, l’Agenzia delle Entrate ha precisato con la risoluzione n. 118/E/2003 che il relativo reddito deve essere qualificato come reddito di lavoro autonomo. Pertanto il rinvio operato dalla norma alle disposizioni che regolano la società in nome collettivo deve essere inteso solo a fini civilistici, ferma restando la specificità del tipo e la natura non commerciale dell’attività svolta. Viceversa per le società di ingegneria i relativi redditi sono stati considerati dall’Agenzia delle Entrate, con risoluzione n. 56/E/2006, redditi di impresa.