Busta paga firmata: dimostra il pagamento ricevuto oppure la firma del lavoratore non dimostra nulla? Scopriamolo insieme
Cominciamo innanzitutto con il dire che il datore di lavoro non può obbligare il dipendente a firmare il cedolino con la busta paga, mentre è suo preciso obbligo, a prescindere dalla suddetta firma, corrispondere ai dipendenti lo stipendio. Ad ogni modo, la firma del lavoratore sulla busta paga non è una prova sufficiente, per l’azienda, per dimostrare – in modo inconfutabile e incontrovertibile – l’avvenuto pagamento delle retribuzioni se c’è contestazione del dipendente.
Ed infatti, la firma della busta paga non equivale ad una dichiarazione, da parte del lavoratore, di aver ricevuto il pagamento. Tuttavia, questo atto potrebbe far presumere il pagamento, a meno che il lavoratore non fornisca prova contraria. Per cui, in caso di mancato versamento dello stipendio, nonostante la sottoscrizione del cedolino (che potrebbe essere avvenuta per imposizione), il lavoratore potrà fare causa al datore e recuperare gli arretrati. Ma cosa significa nella pratica? Che, in assenza di contestazioni, la firma del cedolino fa presumere l’avvenuto versamento dello stipendio; ma se il dipendente asserisce di non aver mai ricevuto i soldi, il datore di lavoro non potrà basarsi solo sulla busta paga con la sottoscrizione del lavoratore per dimostrare il contrario.
Cosa deve dimostrare il lavoratore?
Affinché la firma della busta paga non faccia automaticamente presumere che il pagamento sia stato effettuato, il lavoratore deve fornire prova dell’insussistenza del carattere di quietanza della dichiarazione sottoscritta. La busta paga difatti è un atto unilaterale, non un atto negoziale, si tratta cioè di un documento – obbligatorio – emesso direttamente dal debitore ovvero il datore di lavoro. La firma sulla busta dunque dimostra la ricezione della busta paga stessa, non necessariamente il pagamento degli importi su di essa riportati.
Spieghiamoci meglio.
La firma del dipendente sul cedolino non sempre costituisce quietanza, ossia non sempre è una ammissione di pagamento. La prima cosa da fare, dunque, è vedere cosa c’è scritto sulla busta paga in corrispondenza dello spazio riservato alla sottoscrizione del lavoratore. Due sono le ipotesi:
firma per «presa visione e accettazione»; a volte è scritto solo «firma per ricevuta»: in questo caso il dipendente ammette solo di aver ricevuto la busta paga (intesa come documento cartaceo) e nient’altro; non implica quindi quietanza di pagamento, ossia ammissione di aver ricevuto la somma spettante a titolo di retribuzione. Pertanto, firmare la busta paga, in questo caso, non implica alcun tipo di rischio, anche se lo stipendio non è stato ancora versato o non è stato versato per intero;
firma per «accettazione e quietanza» o più semplicemente «per quietanza». La dicitura, di norma, è la seguente: «Dichiaro che i dati riportati nel presente prospetto paga sono rispondenti a verità e che appongo la mia firma per ricevuta dello stesso e dell’importo netto sopra evidenziato come netto da pagare». In tal caso si presume che lo stipendio sia stato regolarmente versato dall’azienda; ma tale presunzione può essere sempre contestata dal lavoratore anche con una semplice dichiarazione confermata da qualche testimone. Basterebbe cioè che questi si rivolga al giudice per ottenere la condanna del datore al pagamento delle somme dovutegli per onerare quest’ultimo della prova contraria.
L’azienda dovrà allora fornire prove diverse dal semplice cedolino firmato, per dimostrare l’adempimento dell’obbligo retributivo: prove come un pagamento tracciabile perché eseguito con bonifico o con assegno.
Busta paga firmata: dimostra il pagamento ricevuto?
In sintesi, essendo la busta paga un documento che l’azienda è obbligata a rilasciare al dipendente a prescindere dalla sua sottoscrizione, la firma di quest’ultimo sul documento non può considerarsi una quietanza liberatoria ed ha valore di ricevuta del prospetto paga, ma non delle somme riportate sullo stesso cedolino. Il dipendente potrà ugualmente fare causa all’azienda per ottenere il pagamento degli eventuali stipendi non pagati.
Anche la Cassazione ha ragionato negli stessi termini, stabilendo che, in caso di una busta paga firmata, si deve ritenere sussistente una «presunzione di corrispondenza tra la retribuzione percepita e quanto indicato in busta paga anche se tale presunzione può essere sempre contrastata dal dipendente».
Posso rifiutarmi di firmare la busta paga? Infine, come abbiamo anticipato, il dipendente può rifiutarsi di firmare la busta paga. Questo comportamento non può essere usato dall’azienda come scusa per non pagare lo stipendio. Solo se il rifiuto è ingiustificato e comporta dei danni, il datore di lavoro potrà valutare l’applicazione di una sanzione disciplinare.
Stop allo stipendio in contanti: la tracciabilità delle buste paga
Tutte le problematiche sin’ora esposte, fra non molto, potrebbero non avere più ragione di esistere. La nuova legge di bilancio, infatti, ha stabilito che dal 1° luglio 2018 il datore di lavoro potrà versare lo stipendio solo attraverso strumenti di pagamento tracciabili. Niente più contanti, dunque: le buste paga dovranno essere trasparenti. In particolare, la nuova normativa vieta al datore di lavoro o all’azienda di pagare lo stipendio dei propri dipendenti in contanti. A breve, dunque, saranno messi al bando i “soldi cash” per pagare la retribuzione, anche se di piccoli importi. Il datore di lavoro potrà versare lo stipendio solo attraverso strumenti di pagamento tracciabili. A partire dal 1° luglio 2018, infatti, tutti i datori di lavoro o committenti non potranno più corrispondere ai dipendenti lo stipendio a mezzo di denaro contante, qualunque sia la tipologia di lavoro instaurato. La retribuzione e ogni anticipo di essa potrà, quindi, essere versata solo attraverso modalità tracciabili: ecco perché sul punto si parla di tracciabilità delle buste paga.
Stop allo stipendio in contanti: perché?
Obiettivo della nuova normativa sulla tracciabilità delle buste paga è quello di porre fine alla spiacevole prassi di pagare i lavoratori meno di quanto risulta in busta paga e di quanto previsto nei contratti collettivi nazionali (Ccnl). È infatti noto che alcuni datori di lavoro, sotto il ricatto del licenziamento o della non assunzione, corrispondono ai lavoratori una retribuzione inferiore ai minimi fissati dalla contrattazione collettiva, pur facendo firmare al lavoratore una busta paga dalla quale risulta una retribuzione regolare. Ed invero, quella di far firmare una busta paga “falsa” più che una prassi costituisce un vero e proprio abuso, che non conosce latitudini. Si tratta, infatti, di una deprecabile pratica molto diffusa in ogni parte di Italia (non solo al Sud, per intenderci) ed in tutti i settori produttivi. Non sono stati pochi, inoltre, i casi di vera e propria estorsione perpetrata ai danni di dipendenti costretti, dietro minaccia di perdere il lavoro, ad accettare un salario inferiore rispetto a quello risultante nelle buste paga, formate regolarmente solo sulla carta. Così facendo, i datori di lavoro ottengono un illecito vantaggio a discapito del lavoro altrui, mentre i dipendenti non solo vengono privati di parte della propria retribuzione, ma vengono soprattutto lesi nella loro dignità. Come porre fine a tutto ciò? Rendendo lo stipendio tracciabile e “trasparente” ed eliminando i contanti.
Ed infatti, la firma della busta paga non equivale ad una dichiarazione, da parte del lavoratore, di aver ricevuto il pagamento. Tuttavia, questo atto potrebbe far presumere il pagamento, a meno che il lavoratore non fornisca prova contraria. Per cui, in caso di mancato versamento dello stipendio, nonostante la sottoscrizione del cedolino (che potrebbe essere avvenuta per imposizione), il lavoratore potrà fare causa al datore e recuperare gli arretrati. Ma cosa significa nella pratica? Che, in assenza di contestazioni, la firma del cedolino fa presumere l’avvenuto versamento dello stipendio; ma se il dipendente asserisce di non aver mai ricevuto i soldi, il datore di lavoro non potrà basarsi solo sulla busta paga con la sottoscrizione del lavoratore per dimostrare il contrario.
Cosa deve dimostrare il lavoratore?
Affinché la firma della busta paga non faccia automaticamente presumere che il pagamento sia stato effettuato, il lavoratore deve fornire prova dell’insussistenza del carattere di quietanza della dichiarazione sottoscritta. La busta paga difatti è un atto unilaterale, non un atto negoziale, si tratta cioè di un documento – obbligatorio – emesso direttamente dal debitore ovvero il datore di lavoro. La firma sulla busta dunque dimostra la ricezione della busta paga stessa, non necessariamente il pagamento degli importi su di essa riportati.
Spieghiamoci meglio.
La firma del dipendente sul cedolino non sempre costituisce quietanza, ossia non sempre è una ammissione di pagamento. La prima cosa da fare, dunque, è vedere cosa c’è scritto sulla busta paga in corrispondenza dello spazio riservato alla sottoscrizione del lavoratore. Due sono le ipotesi:
firma per «presa visione e accettazione»; a volte è scritto solo «firma per ricevuta»: in questo caso il dipendente ammette solo di aver ricevuto la busta paga (intesa come documento cartaceo) e nient’altro; non implica quindi quietanza di pagamento, ossia ammissione di aver ricevuto la somma spettante a titolo di retribuzione. Pertanto, firmare la busta paga, in questo caso, non implica alcun tipo di rischio, anche se lo stipendio non è stato ancora versato o non è stato versato per intero;
firma per «accettazione e quietanza» o più semplicemente «per quietanza». La dicitura, di norma, è la seguente: «Dichiaro che i dati riportati nel presente prospetto paga sono rispondenti a verità e che appongo la mia firma per ricevuta dello stesso e dell’importo netto sopra evidenziato come netto da pagare». In tal caso si presume che lo stipendio sia stato regolarmente versato dall’azienda; ma tale presunzione può essere sempre contestata dal lavoratore anche con una semplice dichiarazione confermata da qualche testimone. Basterebbe cioè che questi si rivolga al giudice per ottenere la condanna del datore al pagamento delle somme dovutegli per onerare quest’ultimo della prova contraria.
L’azienda dovrà allora fornire prove diverse dal semplice cedolino firmato, per dimostrare l’adempimento dell’obbligo retributivo: prove come un pagamento tracciabile perché eseguito con bonifico o con assegno.
Busta paga firmata: dimostra il pagamento ricevuto?
In sintesi, essendo la busta paga un documento che l’azienda è obbligata a rilasciare al dipendente a prescindere dalla sua sottoscrizione, la firma di quest’ultimo sul documento non può considerarsi una quietanza liberatoria ed ha valore di ricevuta del prospetto paga, ma non delle somme riportate sullo stesso cedolino. Il dipendente potrà ugualmente fare causa all’azienda per ottenere il pagamento degli eventuali stipendi non pagati.
Anche la Cassazione ha ragionato negli stessi termini, stabilendo che, in caso di una busta paga firmata, si deve ritenere sussistente una «presunzione di corrispondenza tra la retribuzione percepita e quanto indicato in busta paga anche se tale presunzione può essere sempre contrastata dal dipendente».
Posso rifiutarmi di firmare la busta paga? Infine, come abbiamo anticipato, il dipendente può rifiutarsi di firmare la busta paga. Questo comportamento non può essere usato dall’azienda come scusa per non pagare lo stipendio. Solo se il rifiuto è ingiustificato e comporta dei danni, il datore di lavoro potrà valutare l’applicazione di una sanzione disciplinare.
Stop allo stipendio in contanti: la tracciabilità delle buste paga
Tutte le problematiche sin’ora esposte, fra non molto, potrebbero non avere più ragione di esistere. La nuova legge di bilancio, infatti, ha stabilito che dal 1° luglio 2018 il datore di lavoro potrà versare lo stipendio solo attraverso strumenti di pagamento tracciabili. Niente più contanti, dunque: le buste paga dovranno essere trasparenti. In particolare, la nuova normativa vieta al datore di lavoro o all’azienda di pagare lo stipendio dei propri dipendenti in contanti. A breve, dunque, saranno messi al bando i “soldi cash” per pagare la retribuzione, anche se di piccoli importi. Il datore di lavoro potrà versare lo stipendio solo attraverso strumenti di pagamento tracciabili. A partire dal 1° luglio 2018, infatti, tutti i datori di lavoro o committenti non potranno più corrispondere ai dipendenti lo stipendio a mezzo di denaro contante, qualunque sia la tipologia di lavoro instaurato. La retribuzione e ogni anticipo di essa potrà, quindi, essere versata solo attraverso modalità tracciabili: ecco perché sul punto si parla di tracciabilità delle buste paga.
Stop allo stipendio in contanti: perché?
Obiettivo della nuova normativa sulla tracciabilità delle buste paga è quello di porre fine alla spiacevole prassi di pagare i lavoratori meno di quanto risulta in busta paga e di quanto previsto nei contratti collettivi nazionali (Ccnl). È infatti noto che alcuni datori di lavoro, sotto il ricatto del licenziamento o della non assunzione, corrispondono ai lavoratori una retribuzione inferiore ai minimi fissati dalla contrattazione collettiva, pur facendo firmare al lavoratore una busta paga dalla quale risulta una retribuzione regolare. Ed invero, quella di far firmare una busta paga “falsa” più che una prassi costituisce un vero e proprio abuso, che non conosce latitudini. Si tratta, infatti, di una deprecabile pratica molto diffusa in ogni parte di Italia (non solo al Sud, per intenderci) ed in tutti i settori produttivi. Non sono stati pochi, inoltre, i casi di vera e propria estorsione perpetrata ai danni di dipendenti costretti, dietro minaccia di perdere il lavoro, ad accettare un salario inferiore rispetto a quello risultante nelle buste paga, formate regolarmente solo sulla carta. Così facendo, i datori di lavoro ottengono un illecito vantaggio a discapito del lavoro altrui, mentre i dipendenti non solo vengono privati di parte della propria retribuzione, ma vengono soprattutto lesi nella loro dignità. Come porre fine a tutto ciò? Rendendo lo stipendio tracciabile e “trasparente” ed eliminando i contanti.
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