voglio FARE o voglio IMPARARE A FARE?


Questa domanda non serve nel caso di servizi professionali specifici, per esempio in ambito fiscale o legale, ma è fondamentale quando l’azienda si trova di fronte a scelte strategiche importanti. Scelte che possono riguardare la strategia globale dell’impresa, o specifiche aree funzionali (il commerciale, il marketing, le operations, le risorse umane e così via).

In alcuni casi, quando l’azienda si trova di fronte a problematiche o opportunità alle quali far fronte in tempi molto stretti, la scelta del fare è obbligata, e quindi la soluzione ottimale è affidarsi a un manager in grado di portare velocemente dei risultati.

Quando parlo di manager intendo sia dipendente dell’azienda, a tempo determinato o indeterminato, che temporary manager. Quest’ultimo, pur avendo un rapporto di collaborazione professionale simile a quello del consulente, è in sostanza un manager a tutti gli effetti in termini di deleghe e poteri a lui concessi.

La scelta dell’imparare a fare, e quindi della consulenza, presuppone un obiettivo più profondo che risolvere un problema o sfruttare delle opportunità, e questo obiettivo è il miglioramento del funzionamento dell’organizzazione.

Nel perseguimento di questo obiettivo il consulente deve bilanciare l’attenzione ai risultati di breve periodo con l’efficienza nel lungo periodo. Per fare questo deve usare le sue conoscenze per trasmettere al cliente la capacità di diagnosticare i problemi, di affrontarli e di partecipare attivamente alla loro soluzione.

Il consulente che, come il sottoscritto, proviene da una lunga esperienza manageriale, ha sicuramente il vantaggio di aver vissuto in prima persona quello che l’imprenditore gli chiede di fare, specialmente se si rivolge ad aziende di settori nei quali ha esperienza.
Per questi consulenti è forte la tentazione di volere portare dei risultati fin dall’inizio del rapporto di consulenza, gettandosi anima e corpo in attività che danno un risultato immediato. Di conseguenza questo consulente tende a comportarsi come qualcuno che “dà disposizioni” e non che “insegna a fare”.

E’ fondamentale invece che prima di iniziare il rapporto di consulenza venga chiarita e condivisa la risposta alla domanda sul fare o imparare a fare, e se l’azienda non se l’è posta è necessario che il consulente stesso la guidi a sapere quale tipo di aiuto deve cercare.

Nella sua attività quotidiana il consulente deve sempre avere in mente la risposta a questa domanda, e di fronte a ogni situazione concreta deve avere la sensibilità di capire quando è il caso di dare consigli o è invece più opportuno porre le giuste domande.

Il fine ultimo di un rapporto di consulenza fruttuoso è fare in modo che l’azienda non abbia più bisogno del consulente. Ma stiamo pur certi che se azienda e consulente hanno investito per costruire un rapporto valido si avranno i migliori presupposti per identificare altri progetti su cui collaborare.

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