Stanziati 167 milioni di euro per portare anche nelle regioni del Mezzogiorno la carta per l'inclusione attiva: ecco la ripartizione del fondi nel decreto interministeriale appena firmato.
Estesa al Mezzogiorno la sperimentazione della carta per l'inclusione attiva
Firmato il decreto che estende alle regioni del Mezzogiorno la sperimentazione della Carta per l’Inclusione Attiva con uno stanziamento di 167 milioni di euro (140 per il 2014 e 27 per il 2015), che vanno a sommarsi agli altri 300 assegnati a dicembre e derivanti dalla riprogrammazione di risorse europee. Si tratta di una iniziativa volta al sostegno al reddito dei lavoratori e alla lotta alla povertà in Italia.
Le risorse vengono ripartite in funzione dell’ampiezza della popolazione che versa in condizioni di maggior bisogno, secondo lo schema del decreto firmato dai Ministri del Lavoro e delle Politiche Sociali, Enrico Giovannini, dell’Economia e delle Finanze, Fabrizio Saccomanni, e della Coesione Territoriale, Carlo Trigilia:
- Abruzzo 7.067.553 euro;
- Molise 1.948.075 euro;
- Campania 46.906.988 euro;
- Puglia 34.153.790 euro;
- Basilicata 4.848.306 euro;
- Calabria 18.600.236 euro;
- Sicilia 43.073.981 euro;
- Sardegna 10.401.070 euro.
Sostegno Inclusione Attiva
Un passo importante verso il Sostegno per l’Inclusione Attiva (SIA) l’ha definito Giovannini: «il primo strumento nazionale e universale di contrasto alla povertà che abbiamo disegnato ex-novo a settembre, colmando un ritardo storico del nostro Paese». Il SIA finora mancava infatti in Italia, pur essendo presente in altri Paesi Europei come strumento di protezione sociale. Difficoltà che in Italia verrà valutata sulla base di determinate soglie patrimoniali che fanno riferimento alla componente ISEE, mentre il controllo dei criteri di ammissibilità verrà affidato all’INPS.
Si tratta di un sistema diverso da un reddito di cittadinanza o di una carta acquisti perché è finalizzato a promuovere l’occupazione, e non solo, prevedendo da parte dei beneficiari la stipula di un patto di inserimento con i servizi sociali locali che li impegni a:
- cercare lavoro;
- prendersi cura dei familiari disabili;
- mandare i figli a scuola;
- far sottoporre i figli alle visite mediche periodiche.
Il 2014, sottolinea poi il ministro, si configura come l’anno nel quale si realizzerà il più ampio intervento contro la povertà mai realizzato in Italia, pienamente giustificato dalla drammaticità della situazione». (Fonte: Ministero del Lavoro).
Salve, ho lavorato per 15 anni in uno studio di consulenza occupandomi in prima persona delle pratiche dei clienti, registrando le fatture, la primanota e assolvendo ai principali adempimenti fiscali.
RispondiEliminaOra, per una serie di motivi (alcuni dei quali legati anche alla crisi), lo studio dove lavoravo ha chiuso e io sono stata licenziata.
Per non rimanere con le mani in mano, io e la mia collega, forti anche dell’esperienza accumulata, abbiamo pensato di aprire un centro elaborazione dati.
Possiamo farlo? E se si, in che modo? Grazie come sempre del vostro preziosissimo aiuto.
Mi scuso se lo scrivo sotto questo post che non ci azzecca nulla.
Dorena
Ciao Dorena.
RispondiEliminaDomande come questa che ci è pervenuta sono particolarmente frequenti, specialmente in un periodo come questo. Quali requisiti ci vogliono per aprire un centro elaborazione dati? E chi può aprirlo?
Le attività che vengono svolte in un centro elaborazione dati sono attività di servizi. Un centro elaborazione dati si configura infatti proprio come un’attività di impresa per la produzione di servizi. In particolare, i centri elaborazione dati contabili (ced) si occupano di inserimento e registrazione dei dati.
L’attività di elaborazione dati consiste nel mero inserimento dei dati nell’elaboratore e quindi nella mera digitazione dei dati forniti dal committente.
Cosa fare per aprire un CED?
Per aprire un centro elaborazione dati è consigliabile in primis costituire una società (meglio se di capitali), quindi aprire una partita IVA e richiedere l’iscrizione al Registro delle Imprese come per qualunque altra normale attività commerciale.
Perché costituire una società di capitali? Perché le società di capitali permettono di limitare il rischio di impresa, anche se comportano una maggiore complessità e diversi adempimenti burocratici, amministrativi e fiscali. Poi, nulla vieta di aprire un centro elaborazione dati come ditta individuale o società di persone.
Fatto questo, si può aprire la partita IVA recandosi presso l’Agenzia delle Entrate oppure avvalendosi di un professionista abilitato (dottore commercialista o altro) e iscriversi quindi al Registro delle Imprese.
Chi può aprire un centro elaborazione dati?
I soggetti che possono aprire un centro elaborazione dati vanno dal giovane professionista senza abilitazione, ai dipendenti di uno studio professionale, fino ad arrivare anche ai professionisti abilitati che vogliono separare la propria attività professionale da quella meramente operativa di registrazione ed elaborazione dei dati contabili.
Ma quale codice attività utilizzare per l’apertura di un CED?
Il codice attività ATECO previsto per i centri di elaborazione dati è il codice 63.11.11 ELABORAZIONE ELETTRONICA DEI DATI CONTABILI (ESCLUSI I CAF).
Per quanto attiene agli obblighi in materia di privacy, i centri elaborazioni dati devono fornire ai propri clienti l’informativa prima della raccolta dei dati e quindi devono ricevere da questi ultimi il consenso al trattamento.
In merito alla legge antiriciclaggio, anche per i centri elaborazione dati vige l’obbligo di identificare la clientela, conservare le informazioni e segnalare le operazioni sospette per prevenire l’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite.
Così strutturati i centri elaborazione dati possono svolgere qualsiasi attività inerente l’elaborazione ed il trattamento dei dati contabili. Per quelle attività successive alla mera elaborazione (visto di conformità, difesa tributaria, etc…) o più complesse i CED possono rivolgersi ai professionisti abilitati.