giovedì 12 dicembre 2013

A forma di stella, morbidissimo e pieno di zucchero a velo che ti sporca le mani e ti fa leccare i baffi! Ecco il pandoro, da sempre rivale del panettone nella gara a dolce di Natale. Ma tu sai chi l'ha inventato?



I dolci natalizi sono tantissimi, di tutte le forme e per tutti i gusti, ma i veri protagonisti in fatto di tradizione sono loro: il panettone e il pandoro. Ogni dolce è ben gradito sulla tavola di Natale ma sicuramente, fra i tanti, “loro” non possono mancare!
Ed essendo golosità tipiche italiane, perché non conoscerle meglio?

In questo post ti parliamo del pandoro....

Il pandoro è nato a Verona e la sua storia è un intreccio di aneddoti e leggende. Si dice che la versione attuale risalga all’800 come evoluzione del “nadalin”, ovvero il dolce duecentesco della città di Verona.
Il nome, invece, sembra risalire ai tempi della Repubblica Veneziana, quando si usava offrire un dolce tipico chiamato “pan de oro”.
Un altro racconto vuole che il pandoro si sia ispirato alla brioche francese: il dessert per eccellenza della corte dei Dogi.
Nonostante le diverse credenze, fortunatamente, si può attribuire alla nascita di questa delizia veronese una data precisa: il 14 ottobre 1894 Domenico Melegatti depositò il brevetto ufficiale di un dolce dall’impasto morbido e dalla caratteristica forma a stella troncoconica a otto punte ispirata all’opera dell’artista impressionista Dall’Oca Bianca.

Dolce la cui storia si perde nella notte dei tempi; c’è chi riconduce la sua scoperta all’epoca della Repubblica Veneziana nel ‘500 e c’è chi invece pensa che sia la trasformazione di un altro dolce tipico veronese, sempre a forma di stella, il Nadalin.
Un’ulteriore ipotesi sulla nascita del pandoro lo farebbe derivare dal tipico Pane di Vienna, ottenuto dalla lavorazione di un impasto ricco di burro.
Di sicuro il pandoro a Verona ha cominciato ad essere prodotto industrialmente verso la fine dell’800 ed è divenuto un vero e proprio alimento tipico, in un primo momento della zona veronese e poi a livello nazionale. Ogni anno crescono i quantitativi di prodotto delle industrie veronesi, Bauli e Paluani su tutte, per poter assolvere alla grandissima richiesta da parte dei consumatori e le varie aziende, industriali ed artigianali, iniziano la lavorazione con qualche mese di anticipo rispetto alla commercializzazione.

Dal “Nadalin” al pandoro il percorso è stato lungo ed articolato, e ha visto l’influenza di culture (e soprattutto di tradizioni culinarie) estere come ad esempio quella asburgica del diciottesimo secolo che, a sua volta, si ispirava alle ricette francesi dei croissant. È questo il caso del dolce conosciuto come “Pan di Vienna”, una sorta di rivisitazione del pan brioche di origine transalpine che in molti identificano come l’antenato dell’odierno pandoro. Queste ricette prevedevano l’utilizzo di grandi quantità di burro nella preparazione degli impasti (almeno il 20%), caratteristica che ancor oggi contraddistingue il pandoro e ne garantisce l’eccezionale sofficità.
Per la nascita “ufficiale” del Pandoro di Verona bisogna tuttavia attendere il 14 ottobre 1884. In quel martedì d’autunno il pasticcere veronese Domenico Melegatti presentò all’allora Ministero di Agricoltura e Commercio del Regno d’Italia la ricetta di un morbido dolce natalizio allo scopo di registrarlo. Questo dolce era a pasta lievitata, da cuocere in un particolarissimo stampo a forma di piramide tronca ad otto punte il cui design si deve ad Angelo Dall’Oca Bianca, pittore di origine veronese. Fu così che al pandoro venne conferito l’Attestato di Privativa Industriale (l’antenato dell’odierno brevetto). L’origine e soprattutto l’inventore del termine “pandoro” rimangono tuttora avvolti in un ‘piccolo’ mistero anche se – secondo quella che ormai è diventata una leggenda – le cose andarono così: un garzone rimase talmente stupito dal bel colore giallo dorato di questo dolce che, non appena ne ebbe tagliata una fetta, esclamò (testuali parole): “L’è proprio un pan de oro!”.

Per la sua ricetta, Domenico Melegatti si ispirò ad una tradizione tipica veronese di lunga storia. Durante il periodo natalizio, e precisamente la sera della Vigilia di Natale, le donne usavano infatti riunirsi per impastare il cosiddetto “Levà”, un dolce lievitato ricoperto da granella di zucchero e mandorle. L’inventore del pandoro prese la ricetta del Levà, eliminandone la copertura che poteva ostacolare la lievitazione ed aggiungendovi uova e burro allo scopo di renderlo morbido.

Sin dai primi anni il pandoro subì innumerevoli tentativi di imitazione, e in queste circostanze passò alla storia la cosiddetta “Sfida delle mille lire”. All’epoca questi soldi rappresentavano una piccola fortuna, e vennero messi in palio da Domenico Melegatti in persona per gli imitatori che si fossero presentato con la “vera” ricetta del pandoro. Il risultato fu che nessuno vinse mai quelle mille lire! Dal 1884 questo prodotto di strada ne ha fatta parecchia, sino a diventare uno dei dolci natalizi più apprezzati e consumati in Italia. Il primato è, come ben si sa, conteso con il panettone milanese, al punto che la popolazione italiana si divide puntualmente, tutti gli anni, sulla domanda: pandoro o panettone?
 La linea di produzione di pandori Bauli è la più grande al mondo: ogni fase è spiata da una sala che gli addetti chiamano Grande Fratello, 14 monitor puntati sui diversi passaggi, sonno del lievito madre incluso. «Qui, di fatto, viene standardizzato un processo che resta simile a quello del pandoro fatto in casa», spiegano i Bauli, padre e figlio, alla guida di una azienda che resta familiare. I 1.200 dipendenti diventano 2mila sotto le feste, con gli stagionali. Quattro acquisizioni in 8 anni sono servite a portare sotto la quota cruciale del 50% la produzione di dolci da ricorrenze. Così il fatturato (500 milioni la stima 2013) è al riparo grazie alla diversificazione fatta di biscotti, merendine, croissant. Per questi ultimi, produzione avviata "quasi nel sottoscala, per vedere dove andava" – l’azienda veronese è la prima al mondo. I prodotti vengono esportati in tutto il mondo, 72 Paesi, «ma non è un pezzo di meccanica nuovo che presenti alle fiere e vende. Le tradizioni sono difficili da esportare, soprattutto se hanno tre mesi di vita prima della scadenza. Il pandoro e il panettone, a parte gourmet e italiani all’estero, restano legati a questo territorio». E poi c’è la questione dei gusti, che cambiano: Bauli produce croissant anche in India, grazie a una joint venture con una azienda locale. Un’esperienza positiva, ma gli ingredienti sono diversi per incontrare le abitudini locali. A Calcutta dove lo vendi un dolce ripieno di lamponi? Meglio, molto meglio il mango.

RICETTA FINALE - Com’è venuto il pandoro fatto in casa? Sapore non malaccio, certo dove si era attaccato allo stampo è un po’ acciaccato. Con due chili di zucchero a velo sopra non se ne accorgerà nessuno. È un po’ più largo che alto, ma forse è colpa del forno (deve essere così, lo dicevo che era da cambiare). La prossima volta meglio abbassare la temperatura.
Comunque la ricetta – una delle tante che gira, c’è chi ci mette anche le patate – è questa:
350 grammi farina manitoba:
150 farina 00
200 lievito madre
170 zucchero
4 uova (2 uova 2 tuorli)
250 burro
100 panna fresca liquida
1 cucchiaino raso di sale
40/50 acqua tiepida
2 bastione di vaniglia (1/2 cucchiaino di estratto)
zucchero a velo


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