venerdì 15 settembre 2017

Studi di settore, addio!! Al loro posto, arrivano le pagelle fiscali.



Dirsi addio, si sa, non è mai semplice. C’è sempre spazio e tempo per qualche rimpianto. Gli studi di settore fanno i bagagli e sono pronti per andare definitivamente in soffitta. Al loro posto, arrivano le pagelle fiscali. Sarà un addio indolore? Sì, ma solo se diminuiranno le tasse, avvisa la CGIA di Mestre.

70 PAGELLE FISCALI – Prima della pausa estiva sono stati presentati alle associazioni di categoria i primi 14 indicatori, entro la fine di settembre ne arriveranno altri 24 a ottobre altri 13 e i restanti 21 saranno validati entro il 22 novembre prossimo. Per l’anno d’imposta 2017 saranno dunque 17 le nuove “pagelle fiscali” riferite al comparto servizi. L’obiettivo è quello di mandare in soffitta i vecchi studi di settore in tre anni con la possibilità di chiudere anche prima.

C’ERAVAMO TANTO AMATI – “Per molti lavoratori sarà la fine di un incubo – esordisce il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – anche se sarà necessario monitorare il periodo di transizione di questi nuovi strumenti. I nuovi indicatori di affidabilità fiscale che sostituiranno gli studi di settore, infatti,  dovranno garantire una riduzione delle tasse e una maggiore semplificazione nei rapporti con il fisco. Altrimenti, questa novità servirà a poco. Per questo è determinante che nella fase di gestazione di questi indicatori sia determinate  il ruolo delle associazioni di categoria dei lavoratori autonomi, che meglio di chiunque altro conoscono le specificità e le caratteristiche  fiscali delle attività interessate da questa novità fiscale”.

GLI STUDI DI SETTORE IN NUMERI – Dopo 18 anni di vita, sono poco più di 3,5 milioni le partite Iva sottoposte ai 193 studi di settore attivati dall’Amministrazione finanziaria. E oltre il 73 per cento dei contribuenti (pari a 2,6 milioni di attività) è congruo, ovvero rispetta le richieste avanzate dall’Amministrazione finanziaria in materia di ricavi. Questi contribuenti, tuttavia,  rimangono ancora nel mirino del fisco visto che ogni anno  rischiano di subire un accertamento fiscale, sebbene per gli studi di settore risultino soggetti fedeli al fisco. Nel 2016, infatti, sono stati poco meno di 368.500 gli accertamenti in materia di Iva, Irap e imposte dirette che hanno interessato le imprese potenzialmente soggette agli studi di settore.

“Chi nel prossimo futuro rispetterà le disposizioni previste dagli indici di affidabilità fiscale non dovrà più essere sottoposto ad alcuna attività accertativa – dichiara il segretario della CGIA Renato Mason – inoltre, bisognerà limitare al massimo il numero di controversie per togliere quell’ansia da fisco che, purtroppo, continua a investire molti piccoli imprenditori. Per questo sarà necessario introdurre un regime premiale a beneficio di coloro che sono in regola con le richieste dell’Amministrazione, così come era stato annunciato verso la seconda metà degli anni ’90 in sede di presentazione degli studi di settore che, in seguito, è stato clamorosamente disatteso”.

 Più tasse per 19,6 miliardi di euro – Negli anni gli studi di settore hanno garantito un grosso apporto di gettito alle casse del Stato. Dal 1998, anno della loro introduzione, al 2015 (ultimo dato disponibile), a fronte di 49,2 miliardi di euro di maggiori ricavi ottenuti attraverso l’adeguamento spontaneo in sede di dichiarazione dei redditi, questi si sono tradotti, secondo una stima elaborata dall’Ufficio studi della CGIA, in 19,6 miliardi di euro di tasse in più versate all’erario

“Certo – conclude Zabeo – è difficile stabilire quanti di questi soldi siano il frutto di una graduale emersione della base imponibile e quanti, invece, siano riconducibili a tasse aggiuntive che i contribuenti hanno pagato perché l’asticella dei ricavi imposta dagli studi di settore era troppo elevata. Molto probabilmente la verità sta nel mezzo. Per questo è necessario che i nuovi indicatori di affidabilità  non ricalchino queste vecchie abitudini”.

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